Le mappe di Persico e Iaconesi tra il locale e il globale. Sono diversi anni che
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico con il loro lavoro attraversano arte, scienza, performance e design e utilizzano una varietà di strumenti e tecniche per analizzare il territorio nel suo sovrapporsi agli strati invisibili dell’informatica, quelli che l’uomo materializza comunicando e accedendo ai dispositivi di ‘connessione’.
Emergono così nuove metodologie di osservazione per leggere le trasformazioni ‘tecno-ambientali’ del territorio, in particolare quello urbano, per renderle comprensibili e quindi utili. Questi interessi artistici e di ricerca sono parte del più ampio progetto
«AOS - Art is Open Source» di cui Oriana e Salvatore sono i fondatori, un network internazionale finalizzato ad esplorare i mutamenti dell’uomo con la crescente accessibilità ubiquitaria delle tecnologie digitali e dei networks.
Nell’ambito di questo macro-progetto, ci interessa qui ripercorrere l’evoluzione e le possibili applicazioni del loro metodo di ‘ascolto’ delle città che da ConnectCity (2008) si è oggi evoluto in Human Ecosystems, una nuova serie di progetti per visualizzare il tessuto urbano nel suo conformarsi in un ‘ecosistema umano’, attraverso tempo, spazio e relazioni, e sulla base di dati catturati dai social networks in tempo reale, vedremo meglio quali, con quale criterio sono analizzati, come sono poi restituiti al bene comune, e quale impatto possono avere sul territorio.
Primo di questi progetti è
EC (m1), un Ecosistema in Tempo Reale della Cultura per la città realizzato in collaborazione con il I Municipio di Roma. Per la prima volta il metodo di ascolto è protagonista di una sperimentazione in campo, grazie anche alla visione e all’apertura dell’amministrazione locale. Prima di entrare in merito del metodo e del progetto EC (m1) facciamo un passo indietro e per capire meglio cosa significhi parlare di trasformazioni tecno-ambientali.
Una volta guardavamo al dispositivo tecnologico come ad uno strumento magico, capace di traghettare verso mondi lontani, nuovi universi dove esistere e operare con identità ‘altre’, da dove ritornare una volta disconnessi. Oggi, da ‘oggetto’ la tecnologia si è trasformata in ‘condizione ambientale’, la respiriamo, la viviamo, è ormai registrata nei nostri codici genetici e si relaziona con noi in un rapporto simbiotico.
Era stata proprio l’intuizione di un possibile rapporto simbiotico tra uomo e macchina ad aver guidato lo psicologo e ingegnere Licklider ad individuare, all’alba degli anni ’60, le basi teoriche per il funzionamento dei sistemi di connessione che oggi si sono evoluti nel moderno internet. Il proseguire e l’intensificarsi di questo scambio è arrivato ad immergerci in una Techno-ecology / tecno-ecologia, dove il confine tra reale e virtuale, tra naturale e artificiale non ha più motivo di esistere. Ma quando è accaduto tutto questo? La tecnologia si è insinuata gradualmente nelle nostre vite senza che noi ce ne accorgessimo per diventarne un tutt’uno.
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico queste trasformazioni le hanno analizzate, prima di tutto, con spirito da etnografi, ‘etnografi peer to peer’, come amano definirsi. Peer to peer perché il materiale su cui basano i loro studi è fornito – appunto – da dati estrapolati dai social networks in tempo reale. L’ambito è quello della cultura, nei luoghi che la ospitano, negli autori che la producono, nei cittadini che la fruiscono, nel suo inserirsi nella griglia urbana attraverso il filtro dei dispositivi mobili.
L’appropriazione di dati e la loro organizzazione attraverso accattivanti visualizzazioni info-estetiche ci restituiscono una complessità di collegamenti e di relazioni in formule leggibili. In questo modo rendono visibile il territorio che abitiamo, quello che si interseca con le architetture degli strati informatici. Soprattutto ce ne tratteggiano la morfologia nel suo espandersi al globale in configurazioni geografiche multiple che spostano continuamente i loro confini e che ancora non si rendono facilmente comprensibili ad occhio nudo, poco allenato alla nuova dimensione spazio-temporale.
Architettura, design, arte, scienza, antropologia, sociologia tutto torna in un discorso collaborativo e trans-disciplinare. L’intento è di formulare un metodo che funzioni come sistema di allenamento mentale ad un pensiero trasversale, un esercizio per implementare il campo visivo acquisendo capacità poli-sensoriali. Prima ancora di questo, è necessario ‘intuire’ l’esistenza dell’ecosistema e la sua entità.
Anche nella cosiddetta vita naturale, è solo ad un certo punto - e non sempre - che ci rendiamo conto di essere parte di un’energia che estende la materia oltre i confini dell’epidermide. Invisibile lo è, ma ai nostri occhi, o meglio ai nostri sensi, nascosta da un tempo di percezione troppo accelerato per renderci in grado di vedere, di capire.
Il loro ultimo progetto EC (m1) continua a ragionare su questa ‘logica sistemica’, o meglio eco-sistemica, e come nell’ecosistema biologico la sua evoluzione dipende dalla differente combinazione e relazione degli eventi.
Rispetto alle operazioni precedenti, questa volta, il modello teorico trova un riscontro pratico con la possibilità di agire fattivamente sul territorio, in questo caso quello di un quartiere romano. E’ stata, infatti, l’amministrazione del I Municipio di Roma, che abbraccia tutto il rione centrale della capitale, a mettersi in gioco e ad entrare in sinergia per la sperimentazione di un ‘modello eco-sistemico’. Ecosistema Cultura Municipio I è, appunto, l’acronimo in cui esplode la ‘formula’ del titolo. Vediamo, prima di tutto, come funziona il progetto.
EC (m1) è un sistema tecnologico, una piattaforma di ascolto, in grado di raccogliere, analizzare e visualizzare in tempo reale l’attività pubblica di chi usa i social network per esprimersi in tema di cultura, in questo caso nel territorio romano. Usando le metodologie e le tecnologie sviluppate in questi anni (Analisi del Linguaggio Naturale, Analisi Emozionale, Geo-coding, Analisi di Rete e Relazionale), il sistema cattura l’attività pubblica degli operatori (che pubblicizzano e comunicano eventi e iniziative) e dei cittadini (che partecipano, le valutano, le raccontano, si esprimono su temi culturali nella loro vita quotidiana): comprende i temi delle discussioni online e degli stati emozionali espressi.
I dati sono visualizzati da info-estetiche che prendono forma in tre mappature così come sono configurate dalle tre variabili prese in esame: lo ‘spazio’, quello generato in tempo reale dai luoghi dove si fa cultura, il ‘tempo’, quello che scandisce la durata durante la quale nuovi elementi si aggiungono e si combinano nello spazio; le ‘relazioni’, ovvero le connessioni, reali e potenziali, che determinano la posizione di ciascun individuo all’interno dell’ecosistema e quindi la loro funzione nella griglia eco-sistemica. Prima che questo ‘modello ecologico’ si trasformi, a tutti gli effetti, in strumento funzionale, bisogna quindi, acquisire coscienza della sua esistenza.
Salvatore e Oriana ci forniscono così alcuni strumenti per visualizzare l’ecosistema a cui apparteniamo, per capirne la nostra posizione e funzione, conseguentemente per poterla vivere e modificare, complici delle sue successive trasformazioni. E’ necessario, prima di tutto, imparare a guardare e ad ‘ascoltare’ i dati, per utilizzare la sfumatura terminologica con cui Salvatore e Oriana ci guidano verso l’esigenza di potenziare le capacità poli-sensoriali.
Tanti sono gli spunti che ci insegnano a guardare questo tecno-ambiente; uno di questi è il trattamento dei dati acquisiti che, nelle loro visualizzazioni info-grafiche, sono liberati dalle leggi che regolano i gruppi social, e restituiti al bene comune in forma di open – source. Si mette a fuoco così la percezione dello spazio dei networks per quello che veramente è, ovvero privato piuttosto che pubblico.
Tante sono le potenzialità nell’impatto che questo modello può avere sul territorio, e non solo quello romano. I dati analizzati ad oggi sul quartiere del I Municipio hanno rilevato, tra le altre cose, la grande abbondanza di operatori e la loro scarsa interconnessione, così come la partecipazione agli eventi di un numero molto piccolo di cittadini rispetto alla quantità con cui questi sono prodotti.
Identificare gli attori della cultura (produttori, fruitori, etc), e visualizzare il loro ruolo nell’architettura eco- sistemica non può che favorire la nascita di nuove collaborazioni, l’ottimizzazione di quelle già esistenti e l’ emergere di piccole realtà – come comunità spontanee, operatori stranieri, autori di iniziative individuali, da unità deboli si possono rivelarsi punti importanti di snodo nella struttura eco-sistemica. In generale, poter visualizzare questa grande quantità di dati permette di muoverci all’interno dell’ecosistema, di riacquistare un ruolo attivo, di poter agire a favore proprio e della comunità. Una volta presa dimestichezza con questa nuova capacità di vedere, molto altro può nascere da letture dei dati, e quindi da sue applicazioni, sempre diverse.
Dopo anni di osservazione e di ascolto di diverse città, come Torino, il Cairo, Istanbul, Berlino, Hong Kong, EC (m1) giunge, quindi, ad un momento di svolta per la ricerca di Salvatore e di Oriana; il modello teorico trova spazio per una sperimentazione sul campo e fornisce il suo primo risultato.
L’entrata attiva del Municipio nell’ecosistema ha compiuto, già con la sua stessa presenza, una trasformazione radicale irreversibile. Gli attori reali della città hanno ora tutti gli strumenti per intraprendere un percorso di riappropriazione dello spazio pubblico, quello vero. EC (m1) è quindi un acronimo ma anche una formula, come la sua visualizzazione tipografica ci suggerisce, formula di un modello di pensiero elastico da utilizzare in maniera ogni volta diversa, ogni volta aperta alla definizione di nuove variabili. (
http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/ecosistemi-e-fruizione)
Elena Giulia Rossi