Storie di famiglie di immigrati con figli disabili, una doppia difficoltà fatta di chiusure e incomprensioni, ma anche di integrazione e buone prassi. Con i casi delle persone sedate nei centri di detenzione. L’inchiesta della rivista “Popoli”.
Roma. Cosa significa crescere in Italia con una doppia difficoltà: quella di essere originario di un paese straniero e disabile? È questo il tema al centro della nuova inchiesta della
rivista “Popoli”, che nel numero di novembre racconta le storie di famiglie immigrate con figli disabili, con le loro criticità e incomprensioni, ma anche casi di integrazione e buone prassi, dal nord al sud del paese. Una panoramica che parte dal centro Angsa (Associazione nazionale genitori di soggetti autistici) di Novara dove negli ultimi due anni sono arrivati i primi bambini di origine straniera: alcuni albanesi, una bambina africana (mamma della Nigeria e papà della Sierra Leone) e, da ultimi, una marocchina e un brasiliano.
“Diversi i percorsi di provenienza, le diagnosi, il bagaglio culturale della famiglie: ma tutte accomunate dallo stesso 'shock' che affrontano i genitori italiani” si legge nell'articolo. Come spiega Chiara Pezzana, neuropsichiatra infantile e responsabile del centro, infatti, per molti genitori immigrati l'ostacolo non è solo la lingua ma la comprensione culturale delle difficoltà dei propri figli autistici. Fondamentale è quindi il lavoro degli operatori, ma soprattutto dei mediatori culturali.
“Spesso gli utenti arrivano ai servizi e si trovano di fronte persone impreparate, non perché queste non sappiano affrontare la disabilità ma perché non sanno contestualizzarla - spiega Mara Tognetti, professore associato di Politiche sanitarie all'università di Milano Bicocca -. C’è un problema di capacità di presa in carico. Intendiamoci: i nostri operatori sono bravi, ma sono stati attrezzati per assistere individui che hanno il loro stesso codice di comportamento, non per queste nuove situazioni”. Secondo la docente, invece, si sta andando verso “un sistema dovetutti dovrebbero essere attrezzati. E non tanto perché arriveranno tanti immigrati disabili, ma perché dobbiamo pensare ad esempio a chi diventa disabile per un incidente sul lavoro o un incidente d’auto”.
Nell'inchiesta del settimanale Popoli viene inoltre affrontato il tema dei “malati di clandestinità”. Coloro cioè che sono trattati come criminali, e che vengono sedati con psicofarmaci nei centri di detenzione. Migranti dimenticati ed espulsi, oppure rifiutati dalla società di cui parla anche la recente tragedia di Lampedusa. Il tema viene affrontato attraverso una lunga intervista a Roberto Beneduce, responsabile del Centro Frantz Fanon, nato nel 1996, all’interno del dipartimento di Educazione sanitaria dell’Asl 1 di Torino, che oggi però prosegue il suo intervento in una sede autonoma. Qui vengono seguiti i rifugiati vittime di tortura nei paesi di origine, ma anche molti immigrati che subiscono atti di sopruso e razzismo in Italia. (
http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/448561/Stranieri-e-disabili-ci-sono-anche-i-malati-di-clandestinita)