Cala il Pil anche nel terzo semestre attestandosi sul -1,8% ma, al di là delle previsioni di fine anno che vorrebbero una ripresina, il dato duro fornito oggi dall’Istat è che la recessione ha determinato ”gravi conseguenze” sull’intensità del disagio economico (come conferma l’indagine Acri-Ipsos): dal 2007 al 2012 il numero di individui in povertà assoluta è raddoppiato da 2,4 a 4,8 milioni. Sempre più poveri e sempre meno lavoro. Oppure sempre meno lavoro e per questo sempre più poveri. Ma non ci sono solo loro, la zona grigia, come qualcuno l’ha già chiamata, è molto più ampia e si tratta di coloro che stanno camminando sul bordo del burrone. Basta un colpo di vento – una malattia, un infortunio, una spesa improvvisa – per farli cadere nelle fila dei disgraziati. Aggiungere al tutto il capitolo giovani con annessi e connessi. Il quadro dell’Italia è dunque desolante. Ma lo è di più se si guarda alle idee in campo per cambiare rotta. Finiti i grandi ideali (purtroppo) non restano che quelli piccoli, dannatamente piccoli. E di che ce ne facciamo? Ma quando mai l’umanità è avanzata migliorandosi senza una grande idea di un posto migliore in cui vivere rispetto a quello che aveva di fronte? In tempo di guerra si sognava la pace. In tempo di pace c’era da ricostruire. Una volta ricostruito c’era da impegnarsi per quelli che erano rimasti indietro. E adesso? Come è possibile che di fronte a una crisi che non è alimentare e non è ancora strettamente ambientale non si trovi un guizzo per guardare oltre? Nessuna bacchetta magica, sia chiaro, ma un po’ di prospettive sì.
Ci hanno fatto ingoiare di tutto in questi anni dalle bugie sulla crisi che non avrebbe toccato l’Italia, alla prossima uscita dal tunnel annunciata infinite volte, alla necessità di tirare la cinghia e poi ancora e ancora. Una richiesta costante, ma in cambio di cosa? Questo è l’aspetto a cui deve dare una risposta chi governa questo paese e questa la risposta che deve dare chi vorrà governarlo. Perché ci hanno detto che in Italia non c’è lavoro e può anche essere vero, ma sono gli argomenti che non convincono. Si sostiene che non siamo abbastanza produttivi, oppure che certi settori ormai sono saturi o che la forza lavoro degli uomini ormai è stata sostituita dai computer. Ad esempio un tema è che le nostre scuole non sono abbastanza digitali. Ma chi sano di mente può veramente credere che la panacea di tutti i mali scolastici sia una lavagna digitale? Sarà mica che le classi scoppiano di alunni, soprattutto là dove gli studenti crescono nella loro coscienza di sé, ovvero alle scuole elementari e medie? Dunque il problema semmai è che ci sono pochi insegnanti, oppure utilizzati male. Chi ha deciso che le classi devono essere di 30 alunni? Non certo qualcuno che ha a cuore l’insegnamento.
Per non parlare del fatto che è vero che in Italia non c’è più bisogno di costruire case, ma di certo c’è molto da ristrutturare e da ripensare. In un Paese con troppe case crescono gli affamati di casa che piantano le tende della loro inascoltata disperazione di esclusi davanti ai ministeri. Ci sono, invece, interi quartieri diventati ghetto da far rifiorire, almeno a livello di programmi. Di sogno da inseguire, specialmente al sud. Ma la politica italiana oggi dove sta guardando? Rattamati e rottamatori che dicono al proposito? La sinistra a sinistra perché non si fa carico davvero di questo messaggio di speranza e orizzonte da portare a conforto di chi da tempo è in apnea e non vede aria? Non sono illusioni, sono ipotesi concrete, ma quando nei primi anni 2000 si parlava di energie rinnovabili qualcuno avrebbe mai potuto pensare la rivoluzione in questo campo degli ultimi anni anche al netto di qualche errore che può essere stato fatto? Rimettiamo al centro il lavoro, facciamolo da sinistra e facciamo che sia di qualità e utile per tutti. Lavoro il più possibile legato al’ambiente a 360° perché ce ne è di più e perché è più utile e potenzialmente più stabile. Diciamo pure a tutti che da questa crisi se ne usciremo tutti più poveri di sprechi, ma più ricchi di cultura è un guadagno per tutti. Ma che per far questo bisogna che una fetta della popolazione raggiunga un sufficiente livello di qualità della vita, e che a pagare sia in parte o in tutto non chi ha subito la crisi, ma chi l’ha generata.
Sconsolati, ma non abbattuti confidiamo che almeno il 6 e il 7 novembre a Rimini Fiera nell’ambito delle manifestazioni Ecomondo, Key Energy e Cooperambiente,qualcosa esca fuori dal tavolo di confronto pubblico con le Istituzioni di riferimento, il Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, il Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, rappresentanti dell’OCSE, dell’UNEP, dell’Unione Europea, esponenti delle autonomie locali e regionali, oltre a numerosi ed autorevoli esperti del settore della green economy.
Sul tavolo – dove purtroppo quasi sempre restano i nostri sogni – c’è quel Green New Deal per l’Italia’ a cui anche noi abbiamo dato il nostro piccolo contributo in termini critici per uscire dalla crisi economica, ecologica e occupazionale. Il Consiglio Nazionale della Green Economy ha infatti selezionato, 10 priorità da mettere in pratica nel più breve tempo possibile contenute nel ‘Pacchetto di misure per un Green New Deal per l’Italia’, che riguardano settori strategici della green economy, in particolare una riforma fiscale in chiave ‘eco’; strumenti finanziari innovativi; investimenti in infrastrutture verdi, difesa del suolo e risorse idriche; riciclo dei rifiuti; efficienza e risparmio energetico; fonti energetiche rinnovabili; filiere agricole di qualità ecologica; rigenerazione urbana e consumo del suolo; mobilità sostenibile e occupazione giovanile green. Questa è la strada, il resto sono chiacchiere.
di Alessandro Farulli
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