Gli operatori di Terre des Hommes descrivono la situazione in cui vivono i piccoli e le loro famiglie nel Centro di Primo Soccorso di Lampedusa. Sono soprattutto siriani, eritrei, somali. I loro disegni raccontano le realtà terribili da cui provengono. Ma noi li facciamo dormire per terra, in condizioni da animali.
di Stefano Pasta
I disegni sono stati fatti da bambini accolti al Centro di Primo Soccorso di Lampedusa. Sono siriani, eritrei e somali.
«Per i bambini condizioni assolutamente inaccettabili». Un giudizio senza mezzi termini, quello di Federica Giannotta, di Terre des Hommes, appena rientrata da Lampedusa. Federica è responsabile del progetto “Faro”, di assistenza psicologica e psicosociale ai minori stranieri non accompagnati e alle famiglie con bambini.
Terre des Hommes è presente nell'isola dal 2011. «Il Centro di Primo Soccorso», dice, «con una capienza massima di 250 persone, accoglie oggi 800 profughi di cui circa 200 sono bambini piccoli; ci sono state punte di 1000 persone. Si tratta per lo più di nuclei familiari molto numerosi, con quattro o cinque bambini, anche neonati».
- Quali sono le condizioni di accoglienza a Lampedusa?
«Vedere i bambini costretti a dormire per terra, su materassi sporchi e senza lenzuola e coperte, nel freddo della notte isolana, non è più ammissibile. Le mamme ci raccontano che nel cuore della notte si svegliano per il freddo, perché i bambini non riescono a dormire e loro non sanno come fare. Se piove, entra acqua nel tetto e intere stanze si allagano, riducendo ulteriormente lo spazio a disposizione. Molte famiglie sono addirittura costrette ad accamparsi fuori, sulla terra nuda, in mezzo agli alberi, con ripari di fortuna fatti con le coperte termiche usate nel salvataggio. Lì sotto ci sono anche neonati che vengono allattati e fatti dormire all’aperto, in condizioni climatiche ormai non più sopportabili. In sintesi, dopo che le maggiori istituzioni del Paese hanno speso tante parole sulla necessità di un’accoglienza diversa per i migranti, l’attuale situazione risulta assolutamente inaccettabile rispetto ai parametri del diritto internazionale umanitario».
- Ci sono persone di quali nazionalità?
«Eritrei, somali, siriani, ghanesi e anche nepalesi. La convivenza tra persone di diverse provenienze non è sempre facile, non mancano le difficoltà di condivisione degli spazi. Va tenuto presente che si tratta di persone, a volte minori soli, psicologicamente fragili, spesso scampate dalla guerra dove magari hanno perso dei familiari. L’altro giorno, un ragazzo eritreo di 12 anni mi ha mostrato un dito completamente nero: era stato torturato da un trafficante in Libia con un ferro rovente perché i genitori tardavano a mandare i soldi. Particolare poi è il caso dei siriani».
- Per i profughi siriani cosa si potrebbe fare?
«Andrebbero ascoltati: non vogliono farsi identificare perché vogliono lasciare l’Italia e andare in Germania, Svezia e Norvegia. In base al Regolamento di Dublino, la polizia prende le loro impronte digitali ma, per questa ragione, non potranno fare domanda di asilo politico in altri Paesi fuorché l’Italia. A livello europeo, va rapidamente proposta una revisione di questa normativa. A livello italiano, chiediamo che siano riconosciuti per quello che sono, profughi di guerra, e ci sia per i siriani la possibilità di chiedere subito la protezione umanitaria, senza aspettare i tempi delle commissioni, e favorendo i ricongiungimenti con i parenti in altri Paesi europei. Nell’immediato, si potrebbe inoltre istituire un canale umanitario per evitare che i ripetano tragedie come quelle recenti nel Mediterraneo».
- Per le condizioni del Centro di Primo Soccorso di Lampedusa cosa si potrebbe fare?
«Con le attuali norme sull’immigrazione, gli sbarchi non sono un’emergenza, ma un flusso continuo prevedibile, era intuitivo che sarebbero continuati. L’accoglienza va strutturata per tempo. È evidente che 250 posti, quando le persone sono lasciate a Lampedusa per una media di 15 giorni, sono insufficienti. Nell’immediato si potrebbe fare molto. Chiediamo che venga riattivato il meccanismo dei trasferimenti dal Centro a strutture d’accoglienze adeguate con priorità assoluta per bambini e famiglie e minori non accompagnati, che la loro permanenza nel Centro sia comunque il più breve possibile, come previsto dalle norme italiane in materia di accoglienza, e che le persone non debbano essere private della libertà personale. Data l’inadeguatezza dell’accoglienza istituzionale, previo accordo con la popolazione locale, si potrebbero temporaneamente trasferire le famiglie con i bambini nelle strutture turistiche libere di Lampedusa (30.000 posti disponibili praticamente vuoti nella stagione fredda), in attesa del loro tempestivo trasferimento in strutture d’accoglienza definitive. Per i minori non accompagnati, si potrebbe invece pensare a famiglie affidatarie anche nelle altre regioni italiane».
- Perché a suo avviso una situazione prevedibile è diventata emergenza?
«Perché fino ad adesso si è affrontata la situazione privilegiando il tema della “sicurezza” (non quella dei migranti però…), rispetto all’accoglienza. Parlo dell’approccio istituzionale, non di quello, molto più umano, degli isolani. I fondi ci sono, ma l’accoglienza è stata progettata con una gestione volutamente al limite. Basti pensare che già due anni fa i tecnici del Ministero fecero il sopralluogo per restaurare i padiglioni del Centro bruciati nel 2011: nonostante fossero stanziati anche i fondi, nulla è stato fatto, continuano a essere inagibili. Tutto è sempre in emergenza: possibile che non si riesca ad avere neanche un numero adeguato di coperte?». (
http://www.famigliacristiana.it/fotogallery/i-bambini-tenuti-in-condizioni-inaccettabili.aspx)