I risultati di una ricerca Ipsos presentati al Philantrophy Day 2013, a Milano. I filantropi per gli italiani sono singoli cittadini, mentre restano ancora dubbiosi riguardo le imprese: per sei su dieci la filantropia è un modo per farsi pubblicità.

Milano. La filantropia è ancora un concetto sconosciuto in Italia: due intervistati su tre non sanno di che cosa si tratta. È una fondazione umanitaria, risponde il 18 per cento di chi pensa di averne un'idea, è un'attività di volontariato, sostiene il 18. Il 12 per cento di chi risponde, invece, dice di averne un'idea precisa. Lo afferma una ricerca condotta dal centro statistico Ipsos guidata da Nando Pagnoncelli. L'amministratore delegato di Ipsos presenta i dati durante la ventiduesima edizione del Philanthropy day organizzato da Fondazione Lang a Milano, alla Società umanitaria.

Il non profit paga lo scotto della crisi: gli italiani mettono molto meno le mani al portafoglio. Secondo quanto segnalato dall'indice mondiale dei donatori, gli italiani nel giro di due anni sono passati dal ventinovesimo al cinquantasettesimo posto. Più le casse piangono, più aumenta lo scetticismo verso chi investe il denaro a fondo perduto, per fare del bene. Nell'immaginario collettivo in nove casi su dieci il filantropo è un singolo cittadino che fa del bene per spirito di solidarietà, per "buon cuore" (lo sostiene il 75 per cento degli intervistati). Solo l'8 per cento concepisce la filantropia anche da parte delle aziende.

Ma quando è il for profit a donare, secondo gli italiani c'è sempre un secondo fine: "se donano hanno qualcosa da farsi perdonare", pensa quasi un italiano su tre, lo fa per un ritorno di immagine o per farsi pubblicità, ritiene il 60 per cento del campione, lo fa per gli sgravi fiscali, pensa il 56 per cento. Per più della metà degli italiani (il 57 per cento) la filantropia fa bene all'immagine, stessa percentuale di chi pensa che l'impresa che fa filantropia abbia a cuore il bene della società. Questi pregiudizi hanno conferma se si guarda a chi sostiene il non profit: solo un decimo del capitale proviene da imprese e fondazioni profit.

Trasparenza, serietà e visibilità dei risultati: sono i tre criteri con cui un donatore sceglie a chi affidare i propri risparmi per fare del bene. Per il 62 per cento dei donatori, anche se abbienti, è l'impatto del progetto a fare la differenza, mentre il 38 per cento dona per abitudine.Il sostegno si prolunga nel tempo in quattro casi su dieci quando il donatore è facoltoso. Nel caso dei meni abbienti la percentuale si dimezza.

Lo sguardo sul non profit è condizionato dall'atmosfera di rassegnazione che domina nella società italiana. "C'è una prospettiva di stallo", commenta Pagnoncelli: solo il 28 per cento degli italiani è ancora in grado di risparmiare, un quarto ha dovuto fare ricorso ai propri risparmi per andare avanti, il 6 per cento ha dovuto chiedere finanziamenti. I pessimisti, quelli che credono che la loro condizione andrà sempre più in rosso, sono il 27 per cento degli italiani, sei punti in più dei pessimisti.

Gli altri sono rassegnati a tirare a campare, adattandosi ad una crisi che in media si ritiene possa durare almeno altri cinque anni. Le csto quadro fosco resta un onseguenze del clima si vedono anche nella fiducia nelle istituzioni: a parte la Chiesa cattolica, che da quando è al soglio pontificio Papa Francesco ha recuperato posizioni fino a guadagnarsi la fiducia di sette italiani su dieci, le altre sono in picchiata. La fiducia nelle banche è al 21 per cento, nella politica è al 18. In questo quadro fosco la non profit è un lumicino di speranza: il 68 per cento ci crede ancora. (lb) (http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/447745/Filantropia-in-Italia-due-persone-su-tre-non-sanno-cos-e)

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