Cade nel silenzio, in Italia, la Giornata internazionale. Mentre i poveri aumentano a dismisura. I dieci punti di Libera per rendere illegale la miseria, dal reddito minimo alla sospensione degli sfratti.
«Laddove gli uomini sono condannati a vivere nella miseria, i diritti dell’uomo sono violati. Unirsi per farli rispettare è un dovere sacro».Era il 17 ottobre del 1987 quando a Parigi 100 mila persone, rispondendo alle parole di padre Joseph Wresinski, si diedero appuntamento al Sagrato del Trocadero nel luogo dove venne firmata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e incisa una lapide che afferma come i più poveri siano le creature di un’umanità fraterna. Grazie all’impegno del prete che scelse di vivere al fianco dei poveri e della sua associazione Atd Quarto Mondo, le Nazioni Unite il 22 dicembre del 1992 istituirono il 17 ottobre come Giornata internazionale per l’eradicazione della povertà. Dopo venti anni la situazione è più grave di prima, tanto nel sud quanto nel nord del mondo.
La Croce Rossa Italiana denuncia come siano oltre 43 milioni le persone che soffrono la fame nel vecchio continente. L’Italia soffre come e più degli altri paesi europei, sebbene ci si ostini a nasconderlo o si voglia parlare d’altro. Nel nostro paese la povertà è la più grave delle malattie. Ciononostante, la Giornata mondiale per l’eradicazione della povertà cade nel massimo del disinteresse possibile da parte delle istituzioni.
Anche per questo il Gruppo Abele, con il sostegno di Libera, promuove la campagna nazionale Miseria Ladra per contrastare da subito la povertà che colpisce pesantemente un italiano su quattro e due famiglie su tre. Dieci proposte concrete che rispondono alle emergenze e alle necessità della maggioranza degli italiani e che hanno già trovato l’appoggio di oltre 200 associazioni. La fotografia di partenza è quella del rapporto Istat 2012, che racconta di un paese fragile, in cui aumentano diseguaglianze, povertà, precarietà e disoccupazione.
Per comprendere l’importanza delle proposte della campagna, vale la pena accennare ad alcuni dei dati più drammatici. In Italia sono 9 milioni e 563 mila le persone in condizioni di povertà relativa, cioè costrette a vivere con meno di 506 euro al mese. Rappresentano il 15,8% della popolazione, rispetto al 13,8% del 2011. A questi dobbiamo sommare 4 milioni e 814 mila persone che si trovano addirittura in povertà assoluta, nell’indigenza. Parliamo del 7,9% degli italiani, rispetto al 5,2% dell’anno precedente. Andando avanti nel rapporto ci accorgiamo come nel 2012 sono state 8 milioni e 600 mila le persone in famiglia considerate in grave deprivazione. Significa non poter sostenere spese impreviste, avere arretrati del mutuo, non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, non poter riscaldare sufficientemente la propria casa, non poter pagare l’affitto, non potersi permettere un telefono o un mezzo di trasporto. Se guardiamo lo scorporo dei dati ci accorgiamo come al sud la situazione sia ancor più grave, facendo riemergere in tutta la sua virulenza una nuova questione meridionale. Nel Mezzogiorno la deprivazione materiale colpisce il 40,1% della popolazione e quella grave una persona su quattro. Ma c’è un dato che fa tremare i polsi: il 7% dei minorenni italiani vive in condizione di povertà assoluta. Sono 723 mila ragazzi le cui vite sono state ingiustamente interrotte, per i quali le istituzioni non offrono speranze. Un dato vergognoso che colloca l’Italia al primo posto in Europa per ciò che riguarda la povertà minorile. Nel nostro paese il 32,3% di chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà, a differenza della media europea che vanta comunque di un ragguardevole 26%. Sei famiglie su dieci in seguito alle difficoltà economiche hanno ridotto la quantità e la qualità del carrello della spesa alimentare. Il picco lo registriamo ancora una volta al sud, con quasi il 73%. Fa riflettere il dato di centinaia di denunce a persone colpevoli di aver rubato da mangiare nei supermercati. Molti gli anziani sorpresi a sottrarre dagli scaffali una bistecca o un pezzo di formaggio del valore di qualche euro, tanto al nord come al sud. Sono affamati da pensioni bassissime che non tengono conto dei rincari, costringendoli ad umiliazioni insopportabili e ad un livello elevatissimo di vulnerabilità.
Aumentano le persone costrette a vivere in strada, gli homeless, ormai oltre i 50 mila. Cresce la pratica dello schiavismo, in voga tanto al nord come al sud soprattutto nelle campagne, dove l’agricoltura invece di essere una leva di rilancio sociale ed economico è stata trasformata in strumento di controllo feudale e mafioso. Più grave è la miseria e più forti sono infatti i poteri criminali, in crescita costante, mentre pericolosamente si lascia credere di aver sconfitto la mafia.
Quando c’è la crisi e vengono violati i principali diritti sanciti dalla nostra Costituzione, in assenza di controlli e di una politica che redistribuisca un minimo la ricchezza, comanda chi controlla la liquidità, e le mafie ne possiedono tanta. Ecco perché oggi aumentano e prolificano più di 54 clan impegnati nell’operazione di lavanderia e riciclaggio del denaro sporco, arrivando sino alla soglie dei nostri quartieri, inquinando le coscienze di molti, sostituendosi al potere dello Stato in qualità di spacciatori di finte speranze. Questo spiega l’aumento del 176% negli ultimi tre anni dei crimini contro l’ambiente, che alimentano appunto il gigantesco business delle ecomafie.
Mafie che, insieme a scelte politiche sbagliate, stanno distruggendo i nostri territori, la salute e i beni comuni dai quali invece dovremmo ripartire. Sono 93,5 i reati giornalieri contro l’ambiente. Una cifra incredibile. Intere regioni del paese rischiano di vedere distrutta la vera ricchezza di cui dispongono, il patrimonio indisponibile che dovremo garantire alle prossime generazioni affinché possa essere soddisfatto il diritto allo sviluppo della personalità umana come prevede il nostro contratto sociale. Uno sviluppo possibile solo in armonia con la natura, così da poter garantire giustizia sociale e ambientale.
Ingiustizie e illegalità diffuse incrementano e legittimano culturalmente la corruzione, facendo sprofondare l’Italia al 72° posto della graduatoria dei paesi più corrotti al mondo. Una miseria materiale e culturale, in cui la crisi del lavoro diventa un detonatore senza precedenti. Disoccupazione giovanile oltre il 40%, 12% quella generale, 4 milioni di precari, 2 milioni di giovani Neet, cioè fuori dal sistema educativo, senza formazione e così scoraggiati da aver persino smesso di cercare lavoro. Sono le cifre di una vera e propria guerra contro il lavoro e i poveri, che abbiamo la responsabilità di contrastare da subito. Invece siamo costretti a denunciare il continuo taglio dei fondi per le politiche sociali e per la non autosufficienza, la cancellazione di investimenti tesi a garantire i diritti e la coesione, il mancato pagamento da parte delle PA per chi fornisce servizi basici e prestazioni, sino allo svilimento politico del ruolo del terzo settore, considerato un peso invece che un vanto.
La povertà non è un destino ineludibile ma la conseguenza di scelte sbagliate, come le privatizzazioni, le delocalizzazioni, le riforme del sistema pensionistico, fiscale e del lavoro. Decisioni figlie di una politica che assume come unica narrazione quella delle compatibilità economiche, garantendo esclusivamente gli interessi della finanza e di chi ha già troppo e ancora di più vuole avere. Quella del mercato sembra essere diventata l’unica regola accettata, ormai più importante di qualsiasi diritto, come se le emergenze della finanza fossero più importanti di quelle di decine di milioni di italiani. Eppure la Costituzione ci ricorda negli art. 2 e 3 come ad essere centrali siano i diritti. Essi incorporano principi fondamentali e irrinunciabili, come l’eguaglianza e la dignità. Attuarli significa rendere operativa la nostra Carta, rispettando quei principi che definiscono materialmente quella che molti costituzionalisti, tra i quali Stefano Rodotà, definiscono «cittadinanza eguale». Se non abbiamo un insieme di diritti pienamente riconosciuti perdiamo infatti pezzi di cittadinanza, separando il popolo dalla democrazia.
A partire dalla situazione reale del paese, proponiamo dieci punti concreti sui quali unire gli sforzi per rendere illegale la povertà: 1) ricostituzione del fondo sociale e per la non autosufficienza, completamente azzerati; 2) moratoria dei crediti di Equitalia e bancari per chi è in difficoltà; 3) subito i pagamenti per chi fornisce servizi, beni e prestazioni; 4) agricoltura sociale, riconversione ecologica delle attività produttive attraverso i tagli alle spese militari, alle grandi inutili opere e abolendo i Cie; 5) sospendere gli sfratti esecutivi; 6) destinare il patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali ed abitativi; 7) riconoscere la residenza ai senza fissa dimora per garantirgli l’accesso al servizio sociosanitario; 8) reddito minimo di cittadinanza; 9) difesa dei beni comuni e ripubblicizzazione dei servizi basici essenziali; 10) rinegoziazione del debito. Sono proposte che garantiscono dignità ed eguaglianza. Le istituzioni locali possono impegnarsi sin da subito su alcuni di questi punti. I soldi i ci sono, si tratta di spostare l’ordine delle priorità ripartendo dai diritti. Abbiamo l’aspirazione di lottare perché nessuno rimanga indietro. (
http://www.miserialadra.it/un-programma-contro-la-poverta/)
Giuseppe De Marzo su Il Manifesto del 16 ottobre 2013