L’accusa di poco coraggio che arriva al governo all’indomani del varo della Legge di Stabilità è senz’altro comprensibile, ma d’altronde già il nome della legge stessa non fa pensare a chissà che voli pindarici. D’altronde un paziente in gravi condizioni per prima cosa lo si stabilizza, poi si cerca di curarlo. Il problema semmai è che qui passa il tempo, ma più che procedere dalla stabilizzazione alla cura si assiste ad una lenta agonia.
Ci diranno che se il paziente fosse morto sarebbe stato peggio, e non c’è dubbio, tuttavia a noi pare che ci sia sempre uno spread evidente tra le “banali” esigenze degli italiani e le idee di “stabilizzazione” del governo. Perché se stabilizzare significa solo non peggiorare il contesto, allora questa è una buona legge e per di più va nella direzione giusta, almeno per quanto riguarda l’idea di ridurre il cuneo fiscale di lavoratori e imprese. Ma la crescita, quale che sia l’orizzonte che uno a in mente, non si capisce come possa ripartire da qui. Sarebbe stato più onesto dire frasi tipo che “la crescita non si fa per decreto o per legge”, o giù di lì.
Come ha ben spiegato l’Onu ieri e greenreport ha riportato, serve rilanciare i consumi interni (quelli giusti, ovviamente) e cominciare a cambiare il paradigma neoliberista e per farlo bisogna mettere più soldi in tasca agli italiani con una redistribuzione della ricchezza che non è certo il recupero di un punto di Iva attraverso il cuneo fiscale. Di fronte a questo il governo deve far affidamento sulle leve che ha a disposizione all’interno del perimetro che i regolamenti europei hanno imposto. E allora è facile capire che con quel 3% da rispettare lo spazio di manovra sarà sempre stretto, e il prossimo governo italiano dovrà farsi carico di portare questa esigenza in seno all’Europa, altrimenti si andrà avanti a botte di leggi di stabilità dell’esistente, fino a quando si stabilizzerà un cadavere.
Se poi allarghiamo la questione alla sostenibilità, ci accorgiamo che tutto si amplifica in negativo. Questo nostro Paese ha bisogno di un piano industriale per la riconversione ecologica di quel che resta dell’industria e del manifatturiero, per consolidarlo e rilanciarlo. Un piano che premi l’uso efficiente di materia e di energia (c’è un bonus per tutto tranne per la filiera del riciclo, come mai?). Avrebbe contemporaneamente bisogno di un piano contro il dissesto idrogeologico e per la manutenzione delle sue reti in particolare quella dell’acqua. Questo solo per indicare i punti “ambientalmente” più importanti che poi, a nostro avviso, avrebbero un impatto positivo anche socialmente: sia sulla salute, sia sulle opportunità di lavoro.
A parte il contentino del prolungamento al 2014 delle detrazioni per le ecocase qualcuno ha visto un barlume, foss’anche solo a livello di intenzione, nelle azioni finora perpetrate da questo governo? Su Tares, Tasi e dintorni c’è solo da dire che la politica degli annunci continua nel solco del berlusconismo agonizzante che toglie una tassa da una parte e la fa apparire con nome diverso da un’altra, un magheggio che ormai non incanta ormai nemmeno i più fedeli tra gli ipnotizzati; come lo è il fatto di aver prima messo tra le buone intenzioni il
Potenziamento della Protezione Civile e Piano per la difesa del suolo, e poi non aver previsto nemmeno un euro al riguardo nelle
linee guida.
In conclusione, forse era anche ingenuo pensare che Letta e compagni avrebbero potuto fare diversamente, ma questa è un’altra storia. I dati di fatto sull’attenzione alla sostenibilità di questo governo sono nell’appello di oltre 140 Organizzazioni Non Governative e federazioni di ONG, tra cui le maggiori associazioni culturali e ambientaliste, i sindacati confederali CGIL-CISL e UIL e le organizzazioni produttive per non uccidere il ministero dell’Ambiente, nel quale ricordano che: «In questi anni è stato il più colpito da tagli della spending reviewe e ridotto nella sostanza ad un ministero senza portafoglio, di cui non viene garantita l’operatività e la necessaria e rigorosa professionalità.
Nel 2009 il bilancio del ministero ammontava a 1,649 miliardi di euro, nel 2010 era di 1,265 miliardi di euro ed oggi, nel 2013, è sceso a 468 milioni di euro, 306 dei quali destinati alle spese correnti che garantiscono l’attività ordinaria del Ministero; nessun dipendente del Ministero è sinora stato assunto per concorso, il personale è composto da funzionari trasferiti da altre amministrazioni e il rapporto (1:1) tra personale dipendente e precario è tra i più alti tra quelli dei dicasteri».
Il problema peraltro non sarebbe nemmeno così evidente se i soldi non dati al ministero dell’Ambiente fossero stati usati o girati ad un altro – tipo il ministero dell’Economia – con l’ottica della sostenibilità, ma purtroppo non è stato assolutamente così.
di Alessandro Farulli
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