A Trento il convegno sui nuovi modelli di economia per uscire dalla crisi del capitalismo. Per l’economista Stefano Zamagni il “mercato” deve tornare ad essere “civile”. Secondo Carlo Borzaga la cooperazione vince se sa innovare in nuovi settori e nuovi modelli di proprietà. Per Sergio Gatti, direttore di Federcasse, le banche cooperative mostrano maggiore tenuta perché entrano nel tessuto sociale delle comunità, ma l’Europa non se ne accorge.
La soluzione, se vogliamo, era già contenuta nel titolo: un modello alternativo al capitalismo esiste, e si chiama cooperazione. Ma il compito affidato a due noti economisti, Carlo Borzaga e Stefano Zamagni, e a un banchiere, Sergio Gatti, direttore della Federazione delle banche cooperative italiane, ha fornito molti spunti interessanti per conoscere la teoria e la pratica dell’impresa cooperativa.
Il confronto è avvenuto a Trento nel corso di un convegno in sala don Guetti organizzato dalla Scuola di Comunità della Cooperazione e delle Acli.
In questi primi cinque anni di crisi l’impresa cooperativa ha mostrato di resistere, e quindi di andare controcorrente, assai meglio della impresa capitalistica. Per quale motivo? Perché “l’impresa cooperativa è includente, mentre quella capitalistica è escludente”, ha attaccato Stefano Zamagni, uno dei “padri” dell’economia civile in Italia. In nome dell’efficienza (solitamente ascritta alle imprese capitalistiche) si è sacrificata la diseguaglianza sociale, che infatti è in terrificante aumento anche tra i paesi cosiddetti avanzati. In realtà è possibile coniugare efficienza con uguaglianza e libertà, ma occorre rivedere i meccanismi che regolano il mercato, ha affermato Zamagni. Finché la cooperazione continuerà a comportarsi da “riserva indiana” del mercato capitalistico, rimarrà sempre minoritaria. Ma se il mercato ritorna alla sua funzione originaria, regolatore di una economia civile, allora la cooperazione potrà svolgere un ruolo primario, contagiando anche le altre forme di impresa.
Zamagni visionario? No, se anche il direttore di un grande sistema bancario cooperativo come Federcasse (terzo in Italia per i crediti), Sergio Gatti, parla apertamente di economia civile come leva di trasformazione del mercato. “Occorre studiare - afferma Gatti - affinché l’operato dei manager sia sempre coerente con gli obiettivi di una finanza sostenibile e responsabile. Il credito cooperativo deve entrare nel tessuto sociale”.
Parole forti che non sembrano essere ascoltate dal legislatore, soprattutto europeo. “L’Europa sta costruendo con l’unione bancaria un acquario in cui saranno costretti a nuotare assieme gli squali con i pesci rossi. Nessuna differenziazione per le banche cooperative, che pure rappresentano il 30% del mercato bancario e sono molto diverse dalle società per azioni. Il rischio - ammette Gatti - è quello di far scivolare il modello cooperativo verso la serie B”. L’Italia pare essere l’unico paese - non imitato - ad aver inserito la tutela della cooperazione nella propria carta costituzionale.
“Le leggi possono indurre all’omologazione - ha affermato Carlo Borzaga - ma la cooperazione vince se sa uscire dai settori tradizionali e innovare, anche nel modello”. Come? “Pensiamo alle coop sociali o ai servizi in rete, come acqua ed energia”, suggerisce Borzaga. Ma occorre far evolvere anche il modello di proprietà. “Perché la cooperativa sociale è rimasta una coop di lavoratori, anziché includere tra i soci, ad esempio, i genitori?”. Da ripensare anche i modelli di business: oggi le Casse Rurali e Bcc, dopo aver prestato molti quattrini a tanti negli anni passati, si trovano a corto di liquidità. Perché non pensare ad una sottoscrizione di azioni per aumentare la patrimonializzazione? Ma per fare questo occorre una nuova consapevolezza dei soci come proprietari. Che hanno diritti ma anche doveri. (
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