La chiusura delle frontiere esterne dell’Ue è la vera causa della tragedia di Lampedusa. L’Europa dovrebbe offrire canali all’immigrazione legale e riformare le sue norme sull’asilo.
Hein de Haas
L’immane
tragedia del barcone affondato il 3 ottobre al largo delle coste di Lampedusa, costata la vita ad almeno 230 profughi e migranti, ha già indotto i governi e le organizzazioni internazionali a chiedere a gran voce “un intervento più duro contro il traffico di esseri umani”. Nel decennio scorso questa è stata la reazione standard ogni volta che sulle coste meridionali d’Europa si verificava una tragedia simile. Questo tipo di ragionamento però capovolge completamente il rapporto causa-effetto degli eventi: dopo tutto, sono proprio i più rigidi controlli alle frontiere a costringere i migranti a scegliere strade pericolose e a diventare sempre più dipendenti dai trafficanti per varcare le frontiere.
Questo tipo di migrazione è alimentato soprattutto dalla costante domanda di manodopera a basso costo in campo agricolo, nel settore dei servizi e in altri settori informali. Una cospicua minoranza di questi migranti è formata da profughi in fuga da violenti conflitti nelle rispettive patrie d’origine. Fino a quando non si metteranno a punto canali più legali per l’immigrazione e finché i profughi si vedranno rifiutare l’accesso alle procedure d’asilo, è verosimile che il grosso dell’immigrazione continuerà a svolgersi in modalità clandestine e illegali.
Sigillare tutte le coste del Mediterraneo all’immigrazione è un compito pressoché impossibile. I controlli alle frontiere vanno ben oltre gli obiettivi che si prefiggono. Negli anni novanta i controlli allo stretto di Gibilterra furono rafforzati, ma ciò non fermò la migrazione. Anzi, nel corso del primo decennio del XXI secolo, le rotte immigratorie si sono dirette verso est e verso sud, sulla terraferma. Ne è seguita una non voluta espansione dell’area che i paesi dell’Ue devono controllare nell’ambito della loro lotta all’immigrazione clandestina.
Le rotte migratorie sono diventate più lunghe e più pericolose
Quell’area ormai comprende tutta la costa dell’Africa del nord e vari punti lungo la costa africana occidentale, da dove i profughi si mettono in viaggio per le isole Canarie. Le rotte migratorie sono diventate più lunghe e più pericolose e costringono i migranti a fare ancora più affidamento sui trafficanti di esseri umani. Per vent’anni si è investita una vera fortuna per i controlli alle frontiere e molti altri soldi sono stati spesi per
Frontex (l’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne), ma neanche questo è servito a fermare i migranti.
Dal 1988 sono morte almeno 19mila persone, ma questa cifra si basa soltanto sui cadaveri che sono stati recuperati. Ancora più preoccupante è che la cosiddetta “lotta contro l’immigrazione clandestina” abbia portato a rifiutare l’accesso alle procedure di richiesta dell’asilo proprio a chi fugge da conflitti e persecuzioni violente in paesi come Siria, Somalia ed Eritrea.
Come gli Stati Uniti
Nel Mediterraneo la “lotta all’immigrazione clandestina” evidenzia una serie di spaventose analogie con la situazione alla frontiera tra Stati Uniti e Messico. Molti studi di ricercatori americani hanno dimostrato che rafforzare i costosi controlli alle frontiere e costruire muri di separazione tra Stati Uniti e Messico ha tutt’altro che arrestato il fenomeno della migrazione, che non ha fatto altro che spostarsi lungo rotte più lunghe e più pericolose attraverso il deserto, rendendo i migranti ancor più dipendenti dai trafficanti. E il numero delle vittime è salito vertiginosamente. Un altro effetto non voluto dei maggiori controlli alle frontiere e delle restrizioni alla migrazione è che i migranti rimpatriati sono trattati con maggiore durezza.
Il vero scandalo, tuttavia, è che i governi e le agenzie come Frontex approfittano senza vergogna di tragedie come quella di Lampedusa per investire ancora più soldi nella “lotta all’immigrazione clandestina”. Di conseguenza anche in Europa la dipendenza dai trafficanti non farà che aumentare, i profughi si vedranno negare l’accesso alle misure cautelari e il bilancio dei morti alle frontiere salirà ancora di più. Una politica finalizzata a “lottare contro l’immigrazione clandestina” è pertanto destinata inevitabilmente a fallire, dato che è essa stessa la causa del fenomeno contro il quale si presume che “lotti”.
É pertanto tassativo che i governi europei si assumano le proprie responsabilità, invece di versare lacrime da coccodrillo per la morte dei migranti e dei profughi alle frontiere esterne d’Europa e continuare a seguire l’ordine del giorno e a destinare sempre più soldi per controlli sempre più rigidi alle frontiere. A dimostrarlo sono vent’anni di investimenti per miliardi di euro nei controlli alle frontiere, che non hanno fermato la migrazione ma hanno reso l’Europa corresponsabile della morte di migliaia di migranti e di profughi.
Assumersi le proprie responsabilità significa che i governi europei devono garantire l’accesso dei profughi alle procedure per ottenere il diritto d’asilo invece che spingerli letteralmente alla morte. Per far ciò si potrebbe, per esempio, emendare il
regolamento di Dublino, in virtù del quale i profughi possono chiedere asilo soltanto nel primo paese che raggiungono. Se si riformasse tale criterio, si potrebbe offrire la possibilità di chiedere asilo in altri paesi europei.
Di sicuro si deve ricordare ai paesi dell’Europa meridionale che devono offrire un’accoglienza dignitosa a migranti e profughi. Ai governi del nord Europa, invece, va semplicemente ricordato che un gesto di solidarietà credibile è la disponibilità ad accogliere i profughi. Una cosa è certa: la repressione è una soluzione letale. (
http://www.presseurop.eu/it/content/article/4211541-il-prezzo-del-controllo)
De Morgen, Bruxelles
Traduzione di Anna Bissanti