Le possibilità offerte dalle tecnologie digitali, con la compressione di spazio e tempo tra tutte, oltre all'immediatezza comunicativa possibile, sono oramai proprie di ogni nuova iniziativa che si proponga di attivare percorsi di condivisione, competizione e circolazione di buone idee. Un esempio, che ha ispirato questo breve articolo, è stato il
bando cheFare, promosso da Doppiozero, in collaborazione con una rete di attori di livello nazionale (tra cui l'
organizzazione per cui lavoro), con lo scopo di premiare progetti di innovazione sociale in ambito culturale. Non solo le tecnologie digitali sono state impiegate per l'invio delle proposte e nel processo di selezione dei progetti da sottoporre alla votazione del pubblico, ma hanno giocato un ruolo chiave sia nella individuazione dei finalisti da ammettere alla valutazione della giuria sia nella costruzione di auto-narrazioni da parte dei proponenti dei 32 progetti giunti alla seconda fase del percorso.
In questo quadro e nell'ambito del Colloquio Scientifico Annuale sull’Impresa Sociale, promosso da Iris Network e tenutosi a Torino nel giugno scorso, Bertram Maria Niessen (Doppiozero) e Davide Zanoni (Avanzi), dopo un'analisi preliminare degli oltre 500 progetti presentati e dei relativi elementi qualitativi, hanno sottolineato due aspetti rilevanti che proverò qui a rileggere attraverso un ripensamento del concetto di valore: in primo luogo, i progetti capaci di attirare un alto numero di voti sono coloro che hanno integrato le reti sociali fisiche con quelle digitali, a esempio tramite i social network; in secondo luogo, tra i partecipanti al bando la mentalità diffusa è quella che separa il valore culturale di un progetto dal suo valore economico, dato reso evidente dalla debolezza dei piani di sostenibilità dei progetti e della disponibilità dei lavoratori culturali di impegnarsi in attività mal pagate e con orari estesi.
Il tentativo che farò in questo articolo è mostrare come l'uso diffuso dei social network da parte dei progetti meglio votati è in relazione con la possibilità di costruire una narrazione sul valore che permetta di far convergere valore economico e culturale, costituendo quindi un elemento importante per lo sviluppo delle iniziative culturali simili a quelle proposte a cheFare.
Il punto di partenza è il contributo analitico di David Graeber, che nel suo
Toward An Anthropological Theory of Value: The False Coin of Our Own Dreams del 2001, attraverso un'operazione etnologica, attingendo al corpus della letteratura antropologica di quel momento, identifica il valore economico, culturale o simbolico, di qualcosa come una funzione dell'energia creativa socialmente profusa per creare la cosa in oggetto. È chiaro il riferimento di Graeber al valore in generale per Marx, ovvero il lavoro sociale necessario alla produzione come base fondante del valore, ma da questo si differenzia in maniera significativa, attraverso l'uso della locuzione “energia creativa” invece della parola “lavoro”, usata da Marx per indicare la trasformazione intenzionale della natura orientata al soddisfacimento dei proprio bisogni.
Ciò che distingue Graeber da Marx è la capacità di individuare, tramite l'evocativa espressione “energia creativa”, non solo la trasformazione volontaria della natura ma la possibilità di agire come prerequisito per la costruzione di cose di valore. All'accento sulla capacità di agire si unisce un sottolineatura del duplice carattere del risultato dell'impiego delle energie creative: non solo prodotti materiali ma anche esseri umani. L'energia creativa di Graeber è la capacità di costruire contemporaneamente cose e persone, oggetti e soggetti. Combinando la prospettiva di Graeber con il pensiero post-strutturalista a là Foucault, ci risulta da subito evidente che le cose, gli oggetti, sono a loro volta la traduzione di relazioni sociali. Pertanto, il valore, sia economico che culturale, si basa sulla capacità di costruire relazioni sociali e sull'ammontare di energia creativa di relazioni che ogni singolo bene, servizio o attività, inscrive nel proprio farsi.
E qui torniamo a cheFare e a ciò che i progetti finalisti ci raccontano, in particolare il progetto vincitore, Lìberos. Come ho già ricordato, tutti i progetti che hanno raggiunto la fase finale hanno dovuto fare leva su relazioni sociali esistenti e crearne di nuove per poter trarre giovamento dalla modalità di selezione propria della seconda fase di cheFare, ovvero la votazione online. Questa modalità di votazione ha spinto molti dei partecipanti a confondere le frontiere tra la votazione online e la partecipazione offline, ad esempio portando terminali per la votazione in occasione di eventi pubblici, o a sollecitare le reti già esistenti. Il tutto in relazione a una promessa, implicita o esplicita: come il progetto stava portando valore culturale e sociale ai votanti al momento della votazione, così avrebbe continuato a fare in caso di successo.
Al consolidamento e alla costruzione di relazioni sociali si associa una forma di obbligazione morale che rafforza la relazione stessa e che permette ad altri di costruire a loro volta su ciò che può essere prevedibile. Da questo punto di vista, il soggetto costruito dai progetti come partecipante alle loro attività non è solo un consumatore ma una parte della rete di relazioni che sostengono il progetto stesso, che ne permettono l'esistenza e che sulla stessa esistenza fanno affidamento.
In sintesi, coloro che fruiscono del progetto stesso una volta che questo si è attivato sono dei “pari” rispetto ai progettisti ed è in questa forma di relazione tra pari che si costruisce sia il valore culturale, in quanto i pari giudicano un determinato progetto culturalmente stimolante, sia il valore economico, in quanto i pari sono disposti a sostenere il progetto, sia tramite trasferimenti monetari o in natura, es. con il lavoro volontario.
Tornando all'apertura di questo testo e al ruolo delle tecnologie digitali, vediamo come queste siano state usate dai promotori di cheFare per stimolare una competizione, tramite il bando di concorso, favorire la circolazione di idee, con la pubblicazione delle schede progetto e la votazione, e permettere la condivisione delle idee stesse e di narrazioni a loro supporto. La vittoria di Lìberos, che ha coniugato competizione, circolazione e condivisione, con la costruzione di relazioni con i propri pari, i sostenitori del progetto, suggerisce che la costruzione di relazioni sia una strada su cui proseguire per provare a coniugare valore economico e culturale come frutto di dinamiche qualitativamente diverse ma socialmente simili nella capacità di mobilitare energia creativa. (
http://doppiozero.com/materiali/chefare/il-valore-e-le-relazioni-peer-peer)
Maurizio Teli