Meno potere d'acquisto per le famiglie, più forza lavoro: la causa è la crisi, che negli italiani condiziona le performance del mercato del lavoro e 'causa' cambiamenti nei comportamenti. E' quanto emerge dal Rapporto sul mercato del lavoro.

Roma. Meno potere d'acquisto per le famiglie, piu' forza lavoro: la causa e' la crisi, che negli italiani condiziona le performance del mercato del lavoro e 'causa' cambiamenti nei comportamenti. È quanto emerge dal Rapporto sul mercato del lavoro 2012-2013, realizzato annualmente dal Cnel, il Consiglio nazionale economia e lavoro, e presentato oggi a Roma, ultimato con le informazioni disponibili al 15 agosto 2013.

Ad aprire i lavori il presidente del Cnel, Antonio Marzano, alla presenza del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Enrico Giovannini. Il rapporto fotografa "la fase recessiva che colpisce il nostro Paese dal 2008, e analizza taluni segnali di possibile inversione di tendenza a partire dal 2014".

Secondo il rapporto, viste le difficolta' economiche, piu' componenti della famiglia si attivano per compensare i redditi definiti "in deterioramento". Ma non solo: le crescenti difficolta' sui bilanci "frenano i giovani nel proseguire gli studi e la mancanza di lavoro e di formazione impoveriscono il capitale umano gia' accumulato". Il Rapporto registra "un aumento significativo della forza lavoro", quale "conseguenza della perdita del potere d'acquisto delle famiglie e della diminuzione dei salari reali. Il fenomeno, gia' avviato nel 2012, vede un generale incremento del tasso di attivita' che coinvolge tutte le fasce d'eta'". Inoltre per effetto delle riforme pensionistiche aumenta la partecipazione degli over 55.

Altro particolare riguarda la parte femminile: l'offerta di lavoro delle donne e' in aumento, (le 'attive' sono oltre il 42%); in aumento le 'occupate', il 41,6%. In crescita anche il tasso di attivita' dei giovani (15-29 anni) mentre il fenomeno dei Neet, ovvero quei ragazzi che non hanno occupazione e che neanche la cercano, corrispondo al 23,9% del totale della popolazione giovanile, con punte del 35% al Sud. Problemi di bilanci, stop allo studio.
Infine si registra un numero sempre maggiore di italiani che vanno all'estero per lavorare mentre sono in diminuzione i lavoratori immigrati.

INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE ATTIVA: Cresce la partecipazione degli over 55, soprattutto per effetto delle riforme pensionistiche, con le inevitabili ripercussioni sul turn over del circuito produttivo: quasi 277mila persone in piu' rispetto al 2011, dei quali la maggior parte occupati (+6,8% rispetto al 2011). Cresce anche il tasso di disoccupazione "matura" (dal 3.5 al 4.9%), nella quale rientrano gli "esodati".

FEMMINILIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO: L'offerta di lavoro da parte delle donne e' in aumento, sia rispetto agli anni passati che nei confronti della componente maschile: le donne "attive" sono ora piu' del 42% delle forze lavoro (40.5% nel 2007); e soprattutto sono aumentate le "occupate": il tasso di occupazione femminile e' salito al 41.6% dal 39.7% del 2007, con una crescita dell'1.2% rispetto al 2011, pari a 109 mila occupate in piu'. Tuttavia continua a persistere il fenomeno della segmentazione di genere, che caratterizza ampiamente il nostro mercato del lavoro: le professioni in cui si concentra la presenza femminile sono poche e poco qualificate.

LA QUESTIONE GIOVANILE: In aumento il tasso di attivita' dei giovani (15-29 anni), nonostante rappresentino meno del 7% degli attivi, laddove i "maturi" (over 55) sono ormai piu' del 12%. Non si arresta il fenomeno dei NEET ("not in employment, education or training"): la quota di ragazzi che non hanno un'occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23.9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno. Piu' attivi sul mercato, ma piu' disoccupati o sottoinquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro ed il progressivo incremento del fenomeno dell'over-education. I giovani sono inoltre piu' frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative, che li espongono al rischio di indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo. Peraltro, la maggiore disponibilita' a prestazioni saltuarie e non inquadrate ha determinato la crescita del lavoro nero in tutto il Paese.

PRECARIETÀ E MOBILITÀ: L'attuale recessione ha cambiato la morfologia del mercato del lavoro anche dal punto di vista delle caratteristiche contrattuali. Cresce, infatti, il numero dei part-time involontari (lavoratori che non hanno trovato un impiego a tempo pieno pur desiderandolo), ma soprattutto dei precari: quasi 3 milioni di persone, tra dipendenti a tempo determinato e parasubordinati, circa il 12.6% dell'occupazione complessiva. In particolare, il rischio di precarieta' per i giovani e' aumentato di circa 6 punti percentuali dal 2007.

I dati suggeriscono un aumento del numero di italiani che scelgono di andare a lavorare all'estero, a fronte di una simmetrica.diminuzione dei flussi in ingresso di lavoratori immigrati.

DIVARIO TRA NORD E SUD DEL PAESE: Tutto cio' si registra in misura piu' intensa al Sud Italia, che, avendo maggiormente risentito delle difficolta' della domanda interna, espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Anche la crescita della partecipazione al mercato del lavoro e' stata piu' marcata nelle regioni del Mezzogiorno: in buona misura si e' pero' trattato di un passaggio dall'inattivita' alla disoccupazione, data la debolezza della domanda.

L'incremento della popolazione attiva si e' sostanzialmente tradotto in una significativa espansione dell'area della difficolta' occupazionale: se, oltre ai disoccupati, si considerano anche gli inattivi disponibili a lavorare, coloro che non ricercano attivamente e i sottoccupati (cassaintegrati e occupati a tempo parziale involontari) tale area di disagio e' aumentata di circa due milioni di persone in un anno. Si tratta di uno spreco di risorse ingente, sostiene il Cnel, di un progressivo impoverimento del capitale umano, che rischia di generare conseguenze sociali allarmanti, soprattutto perche' le piu' colpite sono le nuove generazioni.

L'Italia si trova fra i Paesi dell'area euro che nel corso degli ultimi anni hanno mostrato una buona capacita' di resistenza del mercato del lavoro alla crisi: la riduzione delle ore lavorate per occupato, cosi' come la stessa flessione della produttivita' del lavoro, ha contribuito a contenere l'entita' delle perdite occupazionali. Ciononostante, se l'economia italiana non si riportera' su un sentiero di crescita sara' molto difficile, afferma il Cnel, una inversione di tendenza rispetto all'attuale crisi. Nel Rapporto si stima che per riportare il tasso di disoccupazione all'8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovra' superare il 2% all'anno negli anni a venire. (http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/445939/Cnel-con-la-crisi-si-studia-meno-E-in-tanti-vanno-all-estero)

(DIRE)

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