Il presidente dell'ANP all'Onu: Israele faccia seguire i fatti alle parole. Ma il dialogo nasce sconfitto: nuove colonie e una soluzione a due Stati che cancella la lotta palestinese. Gerusalemme. Una deroga al protocollo è parsa di buon auspicio ieri all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, si è seduto sulla sedia dei capi di Stato in attesa di rivolgersi alla platea che lo ha accolto con un applauso. Ma il rischio che resti soltanto una formalità è alto.

Dal 1974 i suoi predecessori avevano sempre atteso in piedi e Arafat era solito appoggiare la mano su quella sedia finora negata ai rappresentanti di un popolo senza Stato. Dall'anno scorso l'ANP è diventato il governo di uno Stato osservatore, come il Vaticano, cioè senza diritto di voto sulle risoluzioni.

Ad un anno di distanza dal voto dell'Assemblea Generale dell'Onu, che scatenò tante rappresaglie da parte israeliana, Abbas ha espresso il suo impegno a negoziati rapidi con l'obiettivo di raggiungere la pace in nove mesi: due popoli, due Stati e Gerusalemme Est capitale della Palestina entro i confini del 1967. Ha inoltre espresso la sua fiducia che lo Stato di Israele voglia la pace e che la maggioranza degli israeliani siano a favore della soluzione a due Stati, ma ha chiesto di dare seguito con i fatti alle dichiarazioni d'intenti fermando la costruzione degli insediamenti nei Territori Occupati. E su questa questione ha richiamato la comunità internazionale a vigilare: negli ultimi mesi gli incontri tra i team di negoziatori si sono intervallati agli annunci di espansione di insediamenti israeliani a Gerusalemme e in Cisgiordania, migliaia di nuove unità abitative per coloni che poco spazio lasciano al dialogo.

Il presidente dell'ANP ha sottolineato la necessità di agire in tempi rapidi. "La finestra della pace si sta restringendo e le opportunità stanno diminuendo", ha detto ricordando a qualcuno la celebre frase di Yasser Arafat, "Fate che il ramo d'ulivo non cada dalla mia mano", gridata dallo stesso scranno quasi 40 anni fa.

Di sicuro la leadership palestinese di oggi non possiede lo stesso carisma e gli errori compiuti dalla precedente paiono ripetersi, soprattutto in merito ai negoziati sponsorizzati dal sottosegretario Usa, John Kerry, che sembrano sempre più fragili. Sulle trattative, riservatissime, si staglia l'ombra degli insediamenti israeliani che non sono mai stati fermati, della questione di Gerusalemme su cui non sembrano esserci aperture dello Stato ebraico, del quasi totale silenzio sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Nodi che sarà difficile sciogliere, per lo meno in tempi brevi, mentre anche tra i palestinesi la soluzione a due Stati non sembra più la migliore né la più praticabile: sono davvero in pochi, fazioni politiche e opinione pubblica, che accettano l'idea di rinunciare per sempre alla propria terra, dopo 65 anni di lotta e resistenza. (http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87216&typeb=0)

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