Leggi le opinioni di Andrea Carandini, Salvatore Settis e Giulia Maria Mozzoni Crespi. Visto Dal FAI L'incontro con Fiona Reynolds, ex Direttore generale del National Trust, ha aperto un dibattito sulle pagine del "Corriere della Sera" sull'intervento dei Privati nella tutela e nella valorizzazione dei Beni culturali.
Nelle scorse settimane
il FAI ha avuto ospite Fiona Reynolds, ex Direttore generale del
National Trust, l'Associazione che in Inghilterra ha l'obiettivo di salvaguardare il patrimonio artistico e culturale del Paese.
Carandini: "La società civile deve collaborare per fare della Repubblica un sistema"
Il Presidente del FAI Andrea Carandini, commentando questo incontro sul
Corriere della Sera dello scorso 11 settembre, spiega: “Il bene sta non solamente nella Francia, che impone dall'alto risposte alla canaille, ma anche nella Gran Bretagna, che agisce from bottom up. Elena Croce aveva suggerito a Giulia Maria Crespi di creare un National Trust in Italia. Pareva un sogno, eppure è nato il FAI, è cresciuto, si è strutturato e potrà dare sempre maggior sostegno alla Repubblica nell'attuare l'articolo 9 della Costituzione, che senza la partecipazione della società civile resterebbe incompiuto. Stato, università, comunità locali e associazioni volontarie dovrebbero migliorarsi e stringersi (piuttosto che combattersi), per fare della Repubblica un sistema. Il consumo non dà gioia duratura. Paesaggio, storia e arte danno, invece, una gioia che resta nella memoria e riempie il vuoto dello spirito tramite attività gratuite o di poco costo. La cultura umanistica è in rovina e andrebbe rigenerata”.
Settis: “In Inghilterra i Beni culturali non sono tutelati dalle norme, in Italia sono protetti dalla Costituzione"
A queste considerazioni risponde Salvatore Settis sul
Corriere del 18 settembre precisando che l'attività del National Trust in Inghilterra si colloca in un “contesto ben diverso” rispetto a quello italiano: “L'Italia (anche prima della sua unità nazionale) è il luogo dove è nata la stessa idea di tutela, nonché le più antiche leggi in merito (soprattutto negli Stati pontifici, ma anche a Napoli, a Firenze, ecc.), dove, anzi, la Repubblica ha posto la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio fra i principi fondamentali dello Stato (art. 9 della Costituzione). Nulla di simile nel Regno Unito, dove anzi il National Trust nacque proprio per rimediare alla carenza di norme pubbliche di tutela.
Mostriamolo con un esempio: secondo Giles Worsley (England's Lost Houses, London 2001), nei soli anni dal 1945 al 1974 furono demolite 476 ville in Inghilterra, 203 in Scozia, 33 nel Galles: tutte demolizioni decise dai proprietari per reinvestire sui terreni. (…). Per quanto possiamo lamentarci che ville venete, toscane, vesuviane languano in stato di abbandono, in Italia un disastro di queste proporzioni non è avvenuto: ed è perché le nostre leggi, pur salvaguardando la proprietà privata, non danno ai proprietari questo diritto di vita e di morte sui propri possedimenti.
Qualsiasi ‘trapianto' del modello National Trust in Italia deve partire da questa piana constatazione, e sarebbe cosa vana senza un robusto rilancio delle strutture pubbliche della tutela".
Crespi: “Serve un'alleanza per i Beni culturali”
Il nostro Presidente onorario Giulia Maria Mozzoni Crespi replica a Settis dalle pagine del
Corriere di ieri, 23 settembre 2013, “Lei ricorda giustamente le differenze tra il contesto italiano e quello inglese, nel quale ultimo si è sviluppata l'esperienza del National Trust. In Gran Bretagna l'assenza di una tutela pubblica dei beni culturali e di conseguenza i disastri dei quali lei enumera alcuni esempi; in Italia una grande tradizione di tutela pubblica, consolidata nel dopoguerra dal dettato costituzionale. E altrettanto giustamente ricorda che un disastro di proporzioni britanniche - in Gran Bretagna fino a poco tempo fa vigeva una completa disponibilità del patrimonio culturale da parte dei proprietari - non è avvenuto in Italia.
Onestamente, però, lei aggiunge che l'attuale grado di tutela del nostro patrimonio culturale è molto insoddisfacente nel nostro Paese - precisa il Presidente onorario -. Attualmente il ministero per i Beni e le Attività culturali versa in gravissima crisi, voluta e provocata dai passati governi, con un personale umiliato e non rinnovato, privo di mezzi adeguati per svolgere un lavoro di guida e di controllo, in mancanza di seri piani paesaggistici anche a causa delle inadempienze delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Cito solo il tragico caso della Domus Aurea di Roma e di Carditello (in foto) per ricordare quanti problemi irrisolti attendono un'azione efficace del ministero che, nel caso di interventi sponsorizzati da privati, dovrebbe attentamente e severamente vigilare.
Ora, non sono queste le condizioni nelle quali uno stimolo che proviene dalla società può integrare e arricchire la tutela pubblica? A questo proposito è triste notare che lei nella sua lettera non nomina il FAI dimenticando come Elena Croce abbia cocciutamente insistito con me nei lontani anni Settanta per fondare un National trust italiano. Del resto lei è stato per ben dieci anni, anche durante la mia Presidenza, Consigliere del FAI, e ancora le siamo grati per questo. Non può non sapere, dunque, che il FAI è sempre stato e sempre sarà dalla parte di una efficace tutela pubblica del nostro patrimonio culturale. Efficace, sottolineo. E dunque anche aperta ai contributi critici, integrativi e competitivi che provengono dalla società. Che è ciò che il FAI ha fatto e si propone di fare per il futuro. È mai possibile che, se qualcosa di stimolante ed efficace si muove nella società, questa debba diventare tema di una polemica quasi ideologica tra sostenitori del Pubblico e leali e rispettosi attori Privati? Vogliamo tornare all'epoca dei guelfi e ghibellini?”
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