Iris Network: un workshop di passioni e contraddizioni. L’olinguito è una nuova specie di carnivoro, la prima dopo 35 anni nell’emisfero occidentale, scoperta poche settimane fa, e descritto come un incrocio tra un procione e un orsetto. Pur essendo un carnivoro, si nutre prevalentemente di frutta. Ma l’olinguito, oltre a essere un grazioso animale, è anche una delle definizioni più originali quanto azzeccate di impresa sociale che siano state presentate negli ultimi tempi. A proporla è stato Marco Tognetti, uno dei fondatori di Lama Development and Cooperation Agency (giovane società cooperativa di consulenza attiva a Firenze, Milano e Pechino), intervenuto (nella sessione dedicata al consulting) all’undicesimo Workshop sull’Impresa Sociale promosso da
Iris Network, la rete degli istituti di ricerca sull’impresa sociale, di scena il 12 e 13 settembre a Riva del Garda. Un appuntamento chiave per confrontarsi sullo stato e le prospettive dell’imprenditorialità sociale, che ha visto la partecipazione di oltre 500 persone in rappresentanza di istituzioni, fondazioni, università, associazioni, cooperative e innovatori sociali.
UN CONTESTO CHE CAMBIA
La metafora dell’olinguito è corretta perché le caratteristiche fisiche di questo procionide (900 grammi di peso e circa 35 cm di lunghezza), la dieta, le piccole orecchie e il pelo folto sono evoluzioni adattive alle particolari condizioni in cui si è sviluppato, cioè le foreste pluviali sudamericane di alta quota. I tempi in cui viviamo sono altrettanto unici, e chiedono resilienza per non scomparire e lasciare il passo a specie più adatte al cambiamento. L’evoluzione è sostituzione, e così rischiano di essere velleitari i tentativi di decorare soggetti profit con una spruzzata di sociale, o agganciare logiche prettamente economiche a soggetti nati nel non profit e abituati a un diverso ecosistema. Per la consulenza la situazione è simile. L’incontro tra profit e non profit poteva essere attuale (quanto nuovo per il nostro Paese) fino a 5 o 6 anni fa. Oggi, in un contesto sociale ed economico molto diverso, è diventato antistorico. E per questo è sembrato sfocato l’intervento, per esempio, di un gigante della consulenza come Kpmg, presente nella stessa sessione di Lama, che ha illustrato le soluzioni che è in grado di offrire al variegato mondo dell’impresa sociale. «Che ne pensi?», ho chiesto alla cooperante che mi sedeva di fianco. «Utilitaristica», è stato il suo candido responso. Ma nonostante il pregiudizio delle grandi organizzazioni, che a detta della stessa esponente di Kpmg «pretendono di insegnare come funziona il mondo», e l’irrigidimento delle imprese sociali, che invece «ritengono che non li capiremo mai», e pur non considerando l’ostacolo dei costi, la distanza può essere colmabile. Sia perché la stessa Kpmg, a pochi km da qui, in Francia, ha una “practice” esclusiva per l’“Economie Sociale & Solidaire” che conta oltre 6.000 clienti. Ma ancor di più per i segnali registrati dall’istant poll condotto da Aiccon, curatore della sessione, tra i partecipanti. Il 96% ha risposto affermativamente alla necessità di nuovi attori nell’ambito della consulenza rivolta alle imprese sociali, il 63% ha risposto negativamente alla necessità dell’appartenenza al mondo del non profit per le società che offrono consulenza alle imprese sociali, l’88% si rivolgerebbe a soggetti appartenenti al mondo for profit per usufruire di servizi di consulenza rivolti alle imprese sociali. Il segnale è chiaro: le imprese sociali, o meglio, gli imprenditori sociali hanno bisogno di competenze nuove, e diverse.
IMPRENDITORI SOCIALI E FAME DI CONOSCENZA
Anche per questo la masterclass curata da Luca Fazzi, sociologo dell’Università di Trento, intitolata: “Think outside the box: apprendimento strategico e innovazione nelle imprese sociali” ha registrato un pienone. «Spesso si è discusso di competenze manageriali o imprenditoriali, attingendo al campo degli studi d’impresa, ma dimenticandosi in questo modo che le imprese sociali sono qualcosa di intimamente diverso dalle imprese commerciali, seguono logiche di azione loro proprie, si configurano come strutture di coordinamento di risorse plurali e hanno natura collettiva», si specificava nell’abstract di presentazione. Attraverso casi documentali e interviste video è stata sottolineata l’importanza di meta-competenze come il saper creare fiducia, il saper comunicare (le «competenze civiche») o il fare rete.
Taccuini prontamente riempiti per fare tesoro di esperienze di successo utilizzando driver tutt’altro che scontati. La forza del Workshop di Iris è stata questa: la possibilità di apprendere e condividere le pratiche, e di conoscere realtà molto diverse ma unite dalla stessa passione e dagli stessi valori. Per dirla con le parole di Barbara, ricercatrice universitaria tra Barcellona e Zurigo, e partecipante per la prima volta (come il 70% dei presenti): «Mi è piaciuto in particolare il senso di unità, di semplicità, il commitment delle persone, e poi la lettura degli imprenditori in chiave umana, relazionale, come cercano di fare rete. Sono agenti del cambiamento, ed è ammirevole la loro volontà di fare». Le esperienze presentate al Workshop sono state davvero tante e di grande valore (economico e sociale). Progetti di sharing economy, iniziative legate alla filiera dell’economia carceraria, forme di aggregazioni tra imprese sociali, co-produzione di servizi welfare con il coinvolgimento degli utenti, housing sociale di comunità solo per citare alcuni dei tanti filoni affrontati.
IL PANEL A PORTE CHIUSE
All’interno di questa atmosfera ad alto tasso di condivisione, in un Workshop intitolato “Il valore delle relazioni. Coinvolgere per innovare”, si è segnalato invece il panel a porte chiuse organizzato da Vita, uno dei media partner dell’evento. Una sessione riservata a 20 selezionati partecipanti del mondo delle istituzioni, delle organizzazioni di rappresentanza, delle università o di altri enti (avvistata anche Letizia Moratti), che hanno discusso del futuro dell’impresa sociale e del progetto di riforma della legge 155 sull’impresa sociale che verrà affrontato in un seminario al Parlamento il prossimo 3 ottobre, su iniziativa dello stesso Vita magazine e di Make a Change. Che la legge 155 abbia bisogno di un profondo ripensamento è senza ombra di dubbio. Dalla sua nascita sono stati solo 800 i soggetti che hanno scelto di utilizzare questa forma giuridica, a fronte di un universo potenziale stimato qualche tempo fa da Iris di 100.000 soggetti. Ma come fare? La proposta di Vita ruota attorno a cinque assi (modelli di governance, inclusione lavorativa, leve fiscali, redistribuzione degli utili, settori di intervento), alcuni dei quali potrebbero facilmente sconfinare verso l’iper-regolamentazione. Per un universo così composito e in evoluzione non sarebbe meglio spostarsi da un sistema ad alto tasso di legislazione (orientato al legislatore, come quello attuale) a un sistema a basso tasso di legislazione (orientato al giudice)?
WE ARE THE 99%
In contemporanea al panel è andata in scena, tra le altre, un’interessante e affollata sessione su alcuni progetti di rigenerazione sostenibile dello spazio urbano che hanno preso vita negli ultimi anni in tante parti d’Italia. Tra questi si è distinto lo speech di Daniela Galvani, fondatrice di [im]possible living, sito web crowd-sourced dedicato al riutilizzo di edifici abbandonati in tutto il mondo. Daniela, tra il disperato e il disincantato, ha detto che [im]possible living è «una Srl con forte propensione sociale, all’estero ci sono forme giuridiche più adatte, in Italia c’è l’impresa sociale che non era esattamente quello che volevamo, e magari domani faremo un’associazione». Chiedendo poi più volte alla platea qualche idea per rendere sostenibile il progetto. Invece, alla fine, si è levata una domanda da parte di una studentessa a tutti i relatori, semplificabile così: «È possibile vivere con questi progetti?», di fatto chiudendo il cerchio e mettendo a nudo il re.
I nuovi imprenditori sociali sono figli di un tempo ormai diverso, di un’Italia – come segnalato per esempio dalle ultime ricerche del Censis – che per molteplici motivi fa sempre meno affidamento sulla rivendicazione dell’autonomia personale e invece sempre più sulla riscoperta degli altri, sulla relazione e la responsabilità. L’85% di coloro che erano presenti al Workshop ha meno 50 anni, gli under 30 hanno rappresentato quasi un terzo dei presenti. Una nuova generazione che è consapevole dell’insostenibilità del modello socio-economico che ci ha portato fin qui, e che alla luce di queste nuove istanze e di una rinnovata sensibilità cerca di fare la propria parte per l’interesse generale, in certi casi “inventandosi” un lavoro con cui poter vivere – come richiedono i tempi – e che per questo difficilmente potrebbero associare al concetto di “non profit” così come lo abbiamo conosciuto finora. Un progetto innovativo come BlaBlaCar, per esempio, un sito di car sharing che rientra in una rete internazionale, farebbe fatica a essere associato al Terzo Settore comunemente identificato. Ma la sua presenza al Workshop è stata illuminante e significativa. In altre parole, è venuto fuori l’olinguito, con piena dignità di specie.
Ma nonostante i segnali deboli diventino sempre più forti, anche a Riva il simpatico animale non è stato ancora da tutti riconosciuto. Il contrasto è stato evidente. Da una parte 20 esperti decisori a ragionare sulle formule più adatte per riformare la 155, in vista dell’impresa sociale 2.0; dall’altra oltre 480 “semplici” partecipanti, che quotidianamente sfidano la realtà – a volte volando come il calabrone, che non potrebbe – e che si chiedevano tra di loro come fare e perché. Il pensiero al movimento “Occupy” è stato immediato. Così come l’idea che la riforma della 155, senza ascolto e partecipazione dei diretti interessati, si possa rivelare un nuovo flop, lontano dai bisogni e dalle necessità. Nel frattempo Nadia, che ha portato a Riva il suo bellissimo progetto intitolato “Pop Economix”, al momento strutturato sotto forma di associazione, si tiene stretto il suo lavoro in Banca Etica. Mentre i complimenti e le repliche dello spettacolo si moltiplicano. Basterà la nuova impresa sociale per farle cambiare idea? (
http://www.eticanews.it/2013/09/limpresa-sociale-come-un-olinguito/)
Felice Meoli