Molte volte è capitato negli ultimi cinque anni di sottolineare come la crisi economica e finanziaria che ha travolto l’intera economia occidentale abbia avuto degli effetti laceranti trasversali in tutti i settori che compongono la vita dei cittadini. Dei danni al commercio, all’industria, al lavoro, all’economia tout court, alla sanità abbiamo già parlato, man mano che passano gli anni assume sempre maggior rilevanza trovare un modo per rialzarci da questa paludosa situazione ed è quindi doveroso rivolgere l’attenzione al principale cantiere degli italiani di domani: la scuola.
La scuola è indubbiamente uno dei settori che più ha subito l’impatto della scarsità delle risorse economiche, rispetto agli altri paesi dell’Ocse la percentuale del Pil che viene destinata alla formazione è inferiore alla media e concentrata nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, mentre l’università e la ricerca sono ormai lasciate quasi completamente a loro stesse.
Se da un lato questo sbilanciamento ha portato alla costituzione di un sistema educativo elementare di eccellenza, dall’altro una università così ridotta non è un buon biglietto da visita per un futuro migliore. Non solo, sono recenti le notizie di truffe sui test d’ammissione negli atenei, lauree honoris causa concesse per clientelismo, concorsi vinti da candidati senza titoli o pubblicazioni, professori indagati presso le procure di varie città italiane per aver favorito loro familiari. Il risultato è la scarsa considerazione internazionale dei nostri Atenei, nonché l’implicito obbligo per chi desidera approfondire la ricerca di prendere armi e bagagli e dirigersi all’estero in cerca di fortuna.
Negli ultimi anni, di fronte a pressioni economiche sono state prese diverse “misure” finalizzate a riallocare le (poche) risorse disponibili: dalla “riforma Moratti” alla “riforma Gelmini” a lungo si è dibattuto sull’efficacia o meno. Riforme realizzate rielaborando un progetto formativo ed educativo secondo il principio cardine di ridurre i costi e non di far crescere la qualità del prodotto scolastico.
Ma non solo, i processi economici che stiamo vivendo creano discriminazione o comunque provocano condizioni sociali, politiche e culturali perché si generino discriminazioni.
L’aumento delle diseguaglianze, in tutti i paesi OCSE, si sta accompagnando a una intensificazione della competizione che a sua volta si accompagna a un grave deterioramento del legame sociale che si manifesta con la crescita della violenza e degli omicidi. L’insicurezza genera a sua volta reazioni di chiusura culturale e politica. Queste reazioni vengono poi alimentate dalla crescita dei flussi migratori che, mettendo a contatto popolazioni eterogenee per razza ed etnia, incrementa ulteriormente il rischio discriminazioni.
In questo contesto esperienze come quella dei Maestri di Strada diventa determinante per arginare la deriva educativa in corso. E potrebbe essere da esempio per una riforma e che proponga un’idea progettuale affinché la scuola valorizzi i nostri talenti e quindi l’importanza che l’Italia ha dato al progresso del mondo intero.
“La scuola oggi è incapace di sviluppare quelle competenze e quei talenti che sono oggi necessari per continuare ad appartenere a una società industriale avanzata. È talmente distaccata dalle vere esigenze del mondo del lavoro da essere diventata, in larga misura, una fabbrica di disoccupati con la laurea”. (Piero Angela, Nel buio degli anni luce, 1977)
(http://www.socialnews.it/editoriali/8688)
di Massimiliano Fanni Canelles