All’interno del Decreto legge sulla scuola pubblica, approvato nei giorni scorsi, è stata introdotta una norma che prevede nuove iniziative per favorire il consumo consapevole dei prodotti ortofrutticoli nelle scuole di tutta Italia.

De Girolamo

«Siamo riusciti a inserire all’interno del Decreto Scuola nuove iniziative, che rafforzano i programmi di educazione alimentare già esistenti, che hanno come obiettivo proprio quello di trasmettere ai nostri ragazzi l’importanza di una alimentazione equilibrata e di far assumere, fin dalla giovane età, abitudini e stili di vita sani- ha dichiarato il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Nunzia De Girolamo (Nella foto) - Ritengo che sia di particolare importanza favorire un consumo consapevole di verdura e frutta, troppo spesso assenti o insufficienti nell’alimentazione di tutti i giorni dei ragazzi. Simili iniziative, che verranno attivate già in questo anno scolastico- ha aggiunto il ministro-, sono fondamentali infatti per far comprendere ai ragazzi e alle stesse famiglie che una nutrizione corretta richiede giusti quantitativi di frutta e verdura nei pasti quotidiani. Inoltre, questi programmi sono occasioni preziose per far conoscere la verdura e la frutta italiane che offrono non solo un elevato livello di qualità, ma anche un’ampia varietà di prodotti».

La dieta mediterranea, con consumo prevalente di verdura e frutta, non fa solo bene alla salute ma anche all’ambiente e su questo punto l’educazione alimentare inserita nel decreto dovrebbe soffermarsi. Meno proteine animali vengono consumate (e quindi prodotte) e minori ad esempio sono i consumi di acqua ed energia. Del resto dagli anni ‘50 dello scorso secolo ad oggi, l’Indice di massa corporea della popolazione globale è mediamente aumentato e addirittura negli ultimi trent’anni l’obesità è raddoppiata, con tutti i problemi di salute e di spesa sanitaria che ciò ha comportato. E’ ovvio che questo riguarda soprattutto la parte ricca del Pianeta, i cui cittadini in sovrappeso consumano risorse naturali in eccesso, in particolare acqua ed energia. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica inglese BMC Public Health, viene affermato che se il resto del mondo avesse lo stesso indice di massa corporea degli Stati Uniti, equivarrebbe ad aggiungere circa un miliardo di persone alla popolazione globale con tutte le conseguenze del caso. Quindi la quantità del cibo prodotto e consumato e il suo rapporto con l’ambiente è tema che deve essere inserito nei percorsi formativi.

C’è poi la questione degli sprechi alimentari. Ieri greenreport ha informato sul nuovo documento Fao ”Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari”. Nel rapporto viene ribadito che quasi 1 miliardo di persone soffre la fame mentre il volume globale del cibo commestibile buttato via è pari a 1,3 miliardi di tonnellate, che corrispondono ad una spesa di circa 565 miliardi di euro. Per produrre cibo, che poi finisce nella spazzatura, vengono emesse 3,3 miliardi di tonnellate di CO2, e vengono causati impatti su altre matrici come suolo, acqua, biodiversità. Se poi consideriamo che, sempre secondo le stime Fao, entro il 2050 la produzione alimentare dovrà aumentare del 60% per soddisfare la crescita della popolazione e quindi della domanda di cibo, si intuisce come comportamenti virtuosi nella filiera produzione–consumo possano contenere l’aumento di produzione. In questo contesto, dove l’industria alimentare e la grande distribuzione in particolare, sono i soggetti chiamati più di altri a mutare i loro comportamenti, ognuno di noi può dare un piccolo contributo con le giovani generazioni protagoniste magari di un modello diverso di sviluppo. Per questo l’educazione alimentare deve essere fatta a 360 gradi.

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