Negli ultimi anni sono cresciuti notevolmente l’interesse e le iniziative delle grandi società di consulenza per l’impresa sociale. L’impressione è che l’imprenditorialità sociale non sia più percepita come un soggetto utile a re-distribuire bensì un protagonista dello sviluppo e dell’innovazione sociale. Il diverso cambio di prospettiva emerge dalle crescenti iniziative promosse da molte società di consulenza e dalla nascita di start-up orientate a fornire contenuti e supporto alle imprese social per innovare i propri “business model”. Il crescente orientamento “market” delle imprese sociali genererà inevitabilmente (i segnali sono già evidenti) una nuova domanda di consulenza sia sul piano manageriale-organizzativo, che economico-finanziario, dando vita così ad un vero e proprio mercato, un marketplace ad alto potenziale orientato ad una crescente domanda privata di beni e servi ad alto contenuto sociale e relazionale.

Lo sviluppo dell’impresa sociale è destinato, perciò, a dipendere sempre di più dalla disponibilità di un sistema specializzato di servizi consulenziali. Gli elementi di peculiarità che caratterizzano queste imprese da svariati punti di vista – missione, processi produttivi, contenuto dei beni, mercati di sbocco, reti commerciali, ecc. – richiedono il possesso di competenze mirate in sede di accompagnamento, sia sul versante della consulenza strategica che di quella gestionale. Fino ad oggi, complice il carattere di nicchia del fenomeno imprenditoriale, i servizi di consulting sono stati sostanzialmente autoprodotti dalle stesse imprese sociali, in particolare attraverso le loro agenzie di rappresentanza e coordinamento. I consorzi di cooperative sociali, ad esempio, hanno individuato un importante ambito di attività nella fornitura di servizi alle imprese associate e ciò ha consentito, non a caso, una veloce e pervasiva diffusione di queste reti di impresa a livello locale, poi coordinatesi a livello regionale – e nazionale.

Lo scenario sta però cambiando e in modo piuttosto repentino. L’impresa sociale infatti è oggetto di attenzione – e di intervento – da parte di una pluralità di attori. Non è più solo il risultato dell’evoluzione in senso produttivo di organizzazioni non lucrative che, per rispondere in modo più efficace ai loro obiettivi sociali, decidono di “fare l’impresa”. Emergono, anche nel contesto europeo e nazionale, start-up di imprenditoria sociale frutto di processi di riconversione in senso sociale di imprese e imprenditori for profit. Un passo in avanti rispetto alle tradizionali iniziative di Corporate Social Responsibility che inducono a incorporare nei processi di produzione espliciti elementi di valore sociale e ambientale. Il tutto in un’ottica che mira, per dirla con Porter e Kramer, alla produzione di un “valore condiviso” perché fruito da una pluralità di portatori di interesse e non solo degli azionisti e dal management dell’impresa. Di fronte a questa moltiplicazione di approcci e di iniziative inquadrabili in un più ampio perimetro di imprenditorialità sociale emerge, in maniera sempre più evidente, un fabbisogno di accompagnamento allo sviluppo che può essere soddisfatto, a sua volta, da una pluralità di attori. Certamente dai network e dalle tradizionali agenzie promosse dalle stesse imprese sociali che sono chiamati a ridefinire le loro funzioni in un’ottica di produzione interna (make) o acquisto da fornitori esterni (buy), ma anche dagli attori “standard” dell’offerta di servizi di consulenza. Ciò perché è sempre più evidente che le imprese sociali sono soggetti che agiscono in mercati critici per quanto riguarda l’aggregazione della domanda e la standardizzazione dell’offerta, ma che sono in grado di produrre valore economico, se non nelle quantità di altri modelli e settori, certamente con una maggiore continuità e stabilità nel tempo. Da qui il crescente interesse per l’imprenditoria sociale da parte di investitori che mirano a rendimenti non massimizzati ma costanti e ad un consistente “impatto sociale” (adeguatamente rendicontato).

D’altro canto le imprese sociali si trovano ad affrontare temi e questioni che più che l’avvio di nuove iniziative – aspetto comunque rilevante – riguardano l’efficienza delle catene di produzione di valore di tali soggetti imprenditoriali e dei loro network e, più in generale, la scalabilità delle loro iniziative. Tutte questioni che chiamano in causa, seppur su tutt’altro fronte, questioni non nuove per la consulenza corporate: strutturazione delle reti di vendita, branding, aperture di nuovi mercati, ecc. Esistono quindi le condizioni per investire in un mercato della consulenza per l’impresa sociale? Se sì, quali sono le risorse da mettere in campo e quali gli ostacoli da rimuovere per realizzare un accompagnamento realmente efficace a favore di imprese che si propongono di “cambiare le regole del gioco” in settori chiave dell’economia e della socialità?

Questi interrogativi saranno al centro della Masterclass in programma il 12 settembre a Riva del Garda, in occasione della XI ed. del Workshop sull’Impresa Sociale organizzato da Iris Network, a cui prenderanno parte la Fondazione Accenture (protagonista anche della premiazione della competition “A New Social Wave”) KPMG Advisory, Ernst & Young, Fondazione FITS!, LAMA Agency e la start-up Social Seed. (http://www.ideatre60.it/condividi/condivisione-sociale-blog/autore/43/post/quale-consulting-per-il-social-business#.UiW4v1N1on8.twitter)

Paolo Venturi, esperto di: Economia Sociale, Cooperazione, Impresa sociale, Innovazione sociale, Non Profit

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