Leggibilità = efficacia: si sintetizza in questo modo il consiglio di questo mese. Questa rubrica cerca di tradurre in soluzioni concrete le analisi su campagne sociali, uscendo dai canoni soggettivi del “mi piace – non mi piace” e dalle semplificazioni, come per esempio “bella – brutta”, usando come unico parametro la loro “efficacia”.

di Bruno Lo Cicero

Come definire il concetto di efficacia? Sicuramente con il numero di persone “in target” che entrano in contatto con il messaggio in funzione del budget dedicato (monetario ma non solo), ma soprattutto la sua ‘memorabilità‘. Una campagna di comunicazione pubblicitaria è efficace se raggiunge l’obiettivo di far memorizzare i suoi contenuti (il brand, le tematiche, gli slogan), e questa memorizzazione è tanto più preziosa quanto più complessi sono gli argomenti da ricordare.

La visione di un manifesto per la strada (locandina o poster, poco importa) in condizioni medie normali non supera i 70 centesimi di secondo, o al massimo un secondo. In un secondo (il tempo che serve a leggere la parola ‘milleuno’) il nostro cervello deve avere ‘decrittato’ e deciso autonomamente di mandare il messaggio nella memoria profonda, per farlo riemergere poi a comando o in modo casuale (secondo lo schema visione-associazione-ricordo).

manifesto_abitareContrariamente a quanto si pensa, campagne ‘memorabili’ di brand famosi si ricordano facilmente, mentre un evento (e la sua data di svolgimento) sono dati difficilissimi da ricordare; questo avviene per alcuni motivi che chiameremo “filtro inconscio progressivo”:

1) quanta attenzione si cattura con l’immagine

2) quante volte abbiamo avuto contatto con l’immagine stessa

3) il grado di interesse che l’argomento suscita

4) la compatibilità della data con l’agenda personale

Tendiamo quindi a mettere due filtri di interesse in successione: sull’argomento, facendo una valutazione sul tempo da dedicare, e sulla data, cercando di incastrarlo subito tra i nostri impegni; se a questo aggiungiamo un messaggio confuso, di difficile decifratura e senza chiare icone di riferimento (es. il logo dell’associazione, i caratteri usati, immagini ripetute nel tempo sempre uguali), otteniamo gli altri pre-requisiti per la non-memorizzazione.

Il cervello non ricorda ciò che non è ‘attenzionale’ (quindi emotivamente non interessante), dimenticando tutte le sollecitazioni che non lo colpiscano anche empaticamente; ecco perché l’iconografia semplice e chiara, il numero minimo di parole, la messa in evidenza delle informazioni importanti, ma anche la ripetizione di icone che ci appartengano.
Il pubblico riconosce (e distingue) i messaggi, e memorizza solo quelli efficaci, ed è per questo che i messaggi devono essere costruiti secondo l’assunto “dire meno per dire meglio”.

Alla prossima e… fate pubblicità!!! (http://pluraliweb.cesvot.it/dire-meno-per-dire-meglio)

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