Il portavoce Barbieri: al premier abbiamo chiesto di ripristinare una fiscalità agevolata. E di scongiurare l’aumento Iva che «costerebbe» 40mila posti di lavoro. A settembre un tavolo con il governo.

Da Milano Andrea Di Turi. Puntare sull’impresa sociale per favorire la ripresa. Sembra una ricetta semplice. Anche perché vi è ormai ampia evidenza dell’importanza che ha oggi l’economia sociale, il cui valore è stimato in 4-5 punti di Pil. E che ora attende passi concreti dal governo su due fronti: il no all’aumento Iva per le coop sociali e un seguito all’apertura fatta mercoledì in conferenza stampa dal premier Letta sulla futura Service tax, con l’assicurazione che dovrebbe contenere la deducibilità per «i locali legati al non profit».

Queste imprese hanno anche dato prova di saper creare occupazione nonostante la crisi: tra 2007 e 2011 gli occupati sono cresciuti del 17,3% (Censis) e quest’anno tre imprese sociali su quattro (7° Osservatorio Isnet) ritengono che il personale rimarrà invariato o crescerà.

La ricetta di cui si diceva non è però di facile di applicazione perché all’impresa e all’economia sociale si fa ancora fatica a riconoscere il ruolo di risorse strategiche per sostenere e orientare lo sviluppo del Paese. Si darebbe un segnale importante, in quest’ottica, iniziando a rivedere l’aumento dell’Iva dal 4 al 10% sulle prestazioni delle cooperative sociali previsto da gennaio 2014, tema che è stato al centro di un incontro che il Forum nazionale del Terzo settore ha avuto nei giorni scorsi con il presidente del Consiglio. «Un incontro positivo e franco – dice il portavoce del Forum, Pietro Barbieri – in cui si è fatta una panoramica complessiva, come il premier Letta ci aveva chiesto, delle questioni aperte per il Terzo settore. Scongiurare l’aumento dell’Iva sulle cooperative sociali, su cui abbiamo notato un particolare interesse del premier per i riflessi occupazionali che potrebbe avere (40mila occupati a rischio, ndr) e abbiamo chiarito che non c’è stata alcuna procedura di infrazione avviata in ambito europeo, e ripristinare un trattamento di vantaggio sulla costituenda Service tax, per gli enti non commerciali, sono certamente delle priorità.

L’elemento centrale, però, è trovare un luogo autorevole, ampio, magari incardinato sulla presidenza del Consiglio, per il confronto istituzionale col Terzo settore, anche per colmare il vuoto lasciato dalla soppressione dell’Agenzia: l’impegno preso è che a inizio settembre si attivi appunto un Tavolo di confronto istituzionale».Oltre all’azione sul piano normativo e istituzionale, potrebbe rivelarsi molto utile anche assecondare sperimentazioni di imprenditoria sociale già validamente avviate in settori diversi dai tradizionali: green economy, agricoltura sociale (circa un migliaio le realtà attive), valorizzazione del patrimonio culturale, imprese sociali di comunità (su cui da tempo è impegnato il Gruppo Cgm), housing sociale, turismo responsabile, sanità leggera. Magari ispirandosi anche a quanto altri Paesi stanno facendo sul «social business», un ambito in cui l’Unione europea ha spinto fin dal 2011 lanciando la Social business initiative. E approvando di recente un regolamento per etichettare i fondi d’investimento sociali (Eusef, European social entrepreneurship fund).

In Gran Bretagna da tempo si sperimentano nuovi strumenti di finanziamento all’impresa sociale, i social impact bond (in primavera è nato il primo fondo d’investimento dedicato), che a sostegno di iniziative di pubblica utilità impiegano capitali privati, remunerandoli coi risparmi di risorse pubbliche conseguiti. Oltremanica a luglio è anche partito il Social stock exchange, il tentativo forse più avanzato al mondo di Borsa sociale. Negli Stati Uniti, invece, già da qualche anno numerosi Stati (primo il Maryland nel 2010) hanno introdotto la possibilità per le imprese di registrarsi (o di trasformarsi in seguito, come ha fatto Patagonia) come Benefit corporation, cioè imprese che mirano a produrre benefici per la collettività e vedono nel profitto un semplice strumento. È la rivoluzione dell’impresa sociale. Quella di un modello di sviluppo più capace di futuro. (http://avvenire.ita.newsmemory.com/publink.php?shareid=08378861c)

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