Sergio Rizzo ha recentemente scritto sul Corriere della Sera una pesante requisitoria sulle spese delle regioni in materia di promozione del turismo. Riprendendo i dati di un recente studio di Confartigianato, Rizzo sostiene che esisterebbe una paradossale relazione inversa, almeno in molti casi, tra la quantità di risorse finanziarie impiegate nelle attività di promozione turistica da parte delle Regioni italiane ed il loro risultato in termini di attrattività. Pur essendo tra gli ammiratori della meritoria ostinazione con cui alcuni grandi firme del giornalismo italiano denunciano in modo argomentato gli sprechi della nostra pubblica amministrazione, ci pare che in questo caso la polemica abbia in parte mancato il bersaglio.

Lo ha mancato innanzitutto per motivi tecnici. Collegare spese di promozione a risultati in termini di presenze turistiche è semplificazione discutibile. È evidente che sono proprio le realtà turisticamente più deboli quelle che devono investire di più in promozione per costruire una propria credibilità ed una propria immagine sul mercato turistico. Roma, Firenze, Venezia ovviamente non hanno esigenze di promozione. Hanno al contrario un problema di regolazione dei flussi turistici e quindi paradossalmente la loro promozione dovrebbe avere come effetto quello dell’aumento non delle quantità, ma della qualità della fruizione turistica e della spesa sul territorio.

La spesa per la promozione dev’essere poi letta alla luce dei radicali cambiamenti in corso nel mercato turistico. Si parla oggi sempre più spesso di un turismo esperienziale, per sottolineare il fatto che il turista ricerca nella destinazione una “esperienza indimenticabile”, che va costruita e resa fruibile ed intellegibile anche a soggetti appartenenti a culture diverse. In altri termini la promozione non è solo pubblicità patinata, ma un insieme di servizi di accompagnamento e di comunicazione sofisticati per un turismo che non è più solo sfruttamento delle rendite derivanti dai patrimoni artistici e naturali, ma vera e propria industria.

Nel frattempo grandi cambiamenti sono introdotti anche dalle nuove tecnologie. Il Web 2.0 ne è prepotente protagonista: le recensioni su Tripadvisor e sui siti delle agenzie di viaggio online e i commenti su Facebook rappresentano oggi il luogo virtuale nel quale molte delle decisioni di consumo vengono assunte dal turista. Stare su Internet richiede però un cambiamento di mentalità ed un dominio delle tecnologie (e quindi investimenti) rispetto ai quali la promozione turistica sta dimostrando una capacità di adeguamento eterogenea, con alcuni punti di eccellenza ed altri di evidente ritardo. La promozione su internet è solo apparentemente a basso costo. Richiede competenze elevate e impegno senza discontinuità.

Oltre le questioni tecniche vi è però anche una questione più ampia di natura politica ed istituzionale. Lo stesso Rizzo all’inizio del proprio intervento richiama in modo molto critico la decisione di trasferire alle regioni la materia della promozione turistica. Nel mood generale di critica al sistema delle regioni, che è molto legittimata anche dagli scandali denunciati, si rischiano però gravi confusioni.

Confusione è creata dalla convinzione che l’accentramento significhi per definizione maggiore efficienza ed efficacia. Qualcuno ha nostalgia per la promozione turistica prima delle Regioni? Le stesse Regioni, quando hanno interpretato il proprio ruolo in senso centralizzatore rispetto alle comunità locali, hanno palesemente fallito (ad esempio, in Toscana). L’accentramento crea efficienze fittizie a scapito dell’efficacia e soprattutto di quella capacità di coinvolgimento motivato e convinto delle comunità locali che costituisce l’ingrediente vincente di una destinazione turistica di successo. Ogni volta che si parla di centralizzazione viene il sospetto che, oltre che alla riduzione degli sprechi, si pensi (e si pensi molto!) alla canalizzazione delle risorse pubbliche a favore di specifici centri di interesse.

La centralizzazione indiscriminata induce poi omologazione ed un impoverimento della capacità di rispondere in modo creativo alla domanda emergente, proprio oggi quando i mutamenti in atto (e la vivacissima concorrenza internazionale) richiederebbero dosi massicce di creatività. E’ vero che il pluralismo degli attori e delle politiche porta ad una ridondanza di soluzioni, che sicuramente ha un costo in termini di efficienza nell’impiego delle risorse. Ma veramente il prodotto turistico italiano sarebbe valorizzato meglio se gestito da una qualche tecnocrazia romana?

Qui non si tratta di una scelta ideologica tra centralismo e federalismo. Si tratta piuttosto di comprendere che per una promozione turistica efficace oggi è forse necessario pagare i costi “buoni” di un pluralismo di idee e di imprenditorialità locali. Accettato questo, ben venga allora la caccia ai costi “cattivi” indotti dalla corruzione (o dalla mediocre cultura gestionale) qualche amministratore regionale e locale.

di Nicola Bellini

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