Condivido con voi questa riflessione del Presidente internazionale di Medici Senza Frontiere, Unni Karunakara, sulle motivazioni che ci hanno spinto a lasciare la Somalia dopo 22 anni di attività.

Konstantinos Moschochoritis, Direttore Generale di Medici Senza Frontiere Italia

Il nostro annuncio, lo scorso 14 agosto, riguardante la chiusura di tutti i nostri programmi medici in Somalia ha avuto ripercussioni in ambito politico e umanitario. È arrivato in un momento in cui i leader mondiali, per la prima volta da decenni, hanno cominciato a fare commenti positivi su di un paese sulla strada della ripresa e con un governo stabile. Per loro, la tempistica della nostra decisione non avrebbe potuto essere peggiore. Nelle interviste, ci è stato chiesto di spiegare la discrepanza tra il tono ottimistico dei governi e il nostro giudizio severo che ha portato a una delle decisioni più dolorose della storia di Msf.

Vorrei tentare di dare una spiegazione. Per cominciare, Msf non è un'organizzazione che commenta i progressi politici o economici di un Paese. Ci concentriamo in primo luogo sulla salute delle persone e la loro capacità di avere accesso alle cure mediche quando ne hanno bisogno. Da questo punto di vista, e sulla base delle nostre estese attività in tutto il Paese, semplicemente non ci sono buone notizie.

Gran parte della popolazione somala convive con la denutrizione, le malattie e le ferite. Hanno poche possibilità di trovare un'assistenza sanitaria di qualità quando ne hanno bisogno. Abbiamo lottato per fornire servizi medici in quasi tutta la Somalia, ma non senza compromessi. Abbiamo assunto guardie armate per proteggere i nostri ambulatori e il nostro personale, una cosa che non facciamo in nessun altra zona di conflitto.

Nonostante questa misura estrema, siamo stati accolti con una raffica di attacchi, compresi i rapimenti e l'uccisione di 16 (!) membri del nostro staff. C'è stato anche un numero intollerabilmente elevato di minacce, furti e altri incidenti intimidatori. Non c'è nessun altro paese al mondo in cui i rischi di sicurezza sono così alti. I molti commentatori su Twitter che hanno osservato che Msf è nota per lavorare nelle circostanze più difficili hanno ragione. Ma anche MSF ha i suoi limiti. E abbiamo raggiunto il nostro limite in Somalia con la sequenza di omicidi e rapimenti degli ultimi cinque anni.

Nel dicembre 2011, due nostri colleghi sono stati brutalmente assassinati a Mogadiscio. Il loro assassino, che era stato processato e condannato a 30 anni di carcere, è stato rilasciato dopo tre mesi. Altri due colleghe rapite a Dadaab due mesi prima, sono state liberate solo qualche settimana fa. Per 21 lunghi mesi sono state prigioniere nel centro-sud della Somalia. Questi due eventi sono stati i colpi finali.

Ma la sicurezza non è il motivo per cui abbiamo deciso di lasciare il Paese, né lo è la presenza di elementi criminali. Ciò che ha fatto crollare le nostre ultime speranze di poter lavorare in Somalia è che gli stessi soggetti con i quali avevamo negoziato i livelli minimi di sicurezza, hanno tollerato e accettato gli attacchi contro gli operatori umanitari. In alcuni casi, hanno sostenuto attivamente le azioni criminali contro il nostro personale. In molti altri casi, hanno alimentato un clima favorevole a questi attacchi. Nessuno si è esposto per ribadire che è inaccettabile minacciare, rapire o uccidere medici, infermieri o altro personale che cerca semplicemente di portare assistenza sanitaria a persone che altrimenti non ne avrebbero.

Cerchiamo di essere chiari. Quando parliamo di "soggetti in Somalia" non ci riferiamo solo ad al-Shebaab, anche se hanno molto potere e la responsabilità in molte zone in cui abbiamo lavorato. Non vogliamo neanche puntare il dito esclusivamente verso il governo di Mogadiscio, che ha dimostrato indifferenza all'omicidio dei nostri due colleghi nel 2011, come dimostra la liberazione anticipata dell'assassino.

Piuttosto, la conclusione di Msf è che l'accettazione della violenza contro gli operatori sanitari ha permeato la società somala e questa accettazione è ora condivisa da molti gruppi armati e a molti livelli del governo civile, dagli anziani dei clan ai commissari dei distretti, al governo federale somalo.

La volontà di manipolare gli aiuti umanitari è stata nuovamente dimostrata subito dopo l'annuncio del nostro ritiro dalla Somalia. Nell'arco di un giorno, i rappresentanti locali di al-Shebaab hanno preso il controllo delle nostre strutture sanitarie a Dinsor e Marere, confiscando attrezzature e forniture, e rimandando i pazienti a casa senza darci la possibilità di completare il loro trattamento. E sempre nel giro di un giorno, un portavoce della presidenza somala ha commentato che "la decisione di Msf è esattamente ciò che al-Shabaab e Al Qaeda hanno voluto per terrorizzare ulteriormente la popolazione. Chiediamo ad Msf di rivedere la propria decisione e di cooperare con la popolazione", cercando in tal modo ancora una volta di forzare l'agenda politica e militare attraverso di noi, un'organizzazione umanitaria.

La nostra decisione di lasciare la Somalia è stata tra le più dolorose della storia di Msf. Lo scorso anno e nella prima metà del 2013, abbiamo curato circa 50.000 persone al mese. Cioè quasi 2.000 persone ogni singolo giorno. D'ora in poi, molte persone avranno difficoltà a trovare le cure di cui hanno bisogno. Per un'organizzazione di medici, questa è una grande responsabilità.

In Kenya, questo contribuisce a diminuire ancora di più la possibilità di un ritorno anticipato per le centinaia di migliaia di rifugiati somali. Msf continua a portare avanti l'assistenza medica ai rifugiati in Kenya ed Etiopia, ma in un ambiente di sicurezza (per i nostri pazienti e per il personale) che è poco meglio di quanto non fosse nella stessa Somalia.

Finché chi ha qualsiasi tipo di potere o di influenza in Somalia non dimostrerà di avere a cuore le cure mediche per le persone nei loro vari territori, finché non rispetterà coloro che prendono enormi rischi personali per fornire tali cure, Msf non potrà tornare in Somalia. (http://www.huffingtonpost.it/konstantinos-moschochoritis/perche-medici-senza-frontiere-ha-deciso-di-lasciare-la-somalia_b_3802717.html?utm_hp_ref=tw)

Questo articolo è stato pubblicato sul giornale The Standard in Kenya il 20 agosto.

Segui Konstantinos Moschochoritis su Twitter: www.twitter.com/MSF_Italia

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