Abbiamo chiesto a Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, di presentare il rapporto Ecomafia 2013. A 20 anni dalla prima edizione, il rapporto rappresenta un punto di riferimento ineludibile per chi vuole capire cos’è l’ecomafia in Italia, e quanto incide sulla salute e sullo sviluppo del nostro paese.

di Diego Tavazzi


A differenza di Report, che lo fa alla fine di ogni puntata, vorrei cominciare questa intervista chiedendoti se e quali buone notizie ci sono nell’edizione 2013 del rapporto.

Occupandoci di fenomeni criminali gravi, come quelli dell’ecomafia, è difficile trovare buone notizie, purtroppo. Ma posso risponderti sottolineando la definitiva consapevolezza raggiunta, anche grazie a questo nostro impegno comune, di quanto l’ecomafia sia pericolosa non solo per l’ambiente ma anche per l’economia, e in ultima analisi, per la nostra stessa democrazia. L’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura e il buon esempio di consorzi d’imprese (come Ecopneus, Cobat e Polieco, solo per citare tre nomi), che hanno assunto la legalità come cardine del loro lavoro, fanno ben sperare. In Italia, insomma, sta crescendo quel sistema di legalità organizzata che è indispensabile per contrastare ecomafiosi ed ecocriminali.


Passiamo ora alle brutte notizie. Quali sono le novità e le conferme nell’ambito delle attività ecomafiose rispetto al 2012?

La prima notizia è legata ai fatturati dell’economia ecomafiosa, che non conosce la parola crisi: 16,7 miliardi di euro, in linea con il 2011. La seconda è lo sfondamento del muro dei 34.000 reati contro l’ambiente. Anche questo è un dato che deve far riflettere: dal 2008 al 2012, mentre l’Italia precipitava in una recessione che sembra senza fine, l’illegalità ambientale è cresciuta del 32,4%. Di fronte alle difficoltà economiche, insomma, si cercano le scorciatoie. Una conferma arriva anche dai dati sul mercato immobiliare: dal 2006 al 2012 le case costruite legalmente si sono più che dimezzate, passando da 305.000 a 122.000. Quelle abusive, invece, hanno subito una leggerissima flessione: da 30.000 a 26.000. La ragione è semplice: il mattone illegale costa poco più di un terzo di quello messo su rispettando le regole. E così l’incidenza dell’abusivismo edilizio è cresciuta, passando dal 9% del 2006 al 16,9% dello scorso anno. Un’altra novità, in negativo, è rappresentata dalla crescita dei traffici illeciti di rifiuti a livello internazionale. Quelli sequestrati dall’Agenzia delle dogane, in uscita dai porti italiani e destinati soprattutto in Cina e nel Sud Est asiatico, sono raddoppiati in un anno: da 7.000 a 14.000 tonnellate.


Nell’ambito della discussione sui cambiamenti climatici, quasi mai viene menzionato il ruolo delle compagini criminali. Eppure, solo per fare un esempio, edificare costruzioni abusive in zone a rischio idrogeologico può aggravare l’impatto di quegli eventi estremi che, con sempre maggiore frequenza, colpiscono anche la nostra penisola. Cosa puoi dirci in merito a questo argomento?

Non c’è dubbio che l’aggressione criminale al territorio finisca per moltiplicare gli effetti dannosi di tante attività, a cominciare dalla cementificazione del suolo. Ma non va dimenticato neppure l’impatto degli incendi dolosi, che distruggono ogni anno decine di migliaia di ettari di boschi nel nostro paese. Oppure le conseguenze, per quanto riguarda la biodiversità, dei traffici illegali di specie protette. Non penso solo a quelle animali, che pure alimentano fatturati impressionanti. Il commercio illegale di legname, per esempio, è all’origine di vere e proprie desertificazioni di aree pregiate, in Africa piuttosto che in Asia e Sudamerica. Un dato che emerge dal rapporto Ecomafia di quest’anno è la sostanziale sovrapposizione delle rotte illegali di rifiuti e di specie protette ma anche di merci contraffatte. L’impressione, ma è qualcosa di più, è che a operare siano delle vere e proprie holding specializzate nei traffici illeciti su scala globale.


Le infiltrazioni delle mafie nei settori delle rinnovabili, gli intralci alle filiere agroalimentari del biologico, il cemento abusivo e di certo non ecoefficiente, i rifiuti seppelliti o bruciati all’aria aperta e non riciclati: sembra che i clan nutrano una particolare avversione per tutto quello che è green economy. Oltre ai vantaggi ambientali ed economici, secondo te la green economy potrebbe contrastare, magari solo indirettamente, le attività delle ecomafie?

Sicuramente sì, la buona economia, soprattutto quella ecologica, è l’antidoto più efficace alla diffusione dell’ecomafia, perché crea lavoro pulito, promuove la qualità delle produzioni, alimenta l’innovazione tecnologica. È, però, un’economia giovane, ancora abbastanza fragile, nonostante i numeri in crescita, che deve essere difesa. Sia dalle imprese che continuano a praticare il dumping ambientale come fattore di concorrenza sui mercati, sia dagli interessi criminali che vengono attratti proprio dalle nuove opportunità di business, mafie in testa. Si tratta di mercati che diventano particolarmente appetibili perché sono alimentati da incentivi pubblici, hanno nell’iter amministrativo e nelle amministrazioni locali degli snodi cruciali e possono essere fortemente condizionati dai clan che esercitano il cosiddetto “controllo del territorio”. L’economia ecomafiosa, non a caso, va di pari passo con la corruzione e con la capacità di condizionamento della pubblica amministrazione. Basta ricordare un dato: nel 2012 sono stati sciolti per mafia ben 25 comuni. Non ne venivano sciolti così tanti dal 1993, l’anno delle stragi e dello strapotere di Cosa nostra.


Quali sono le proposte di Legambiente per combattere gli ecocriminali?

Una è sempre la stessa, dal primo rapporto Ecomafia del 1994: introdurre nel nostro Codice penale i delitti contro l’ambiente. Chi ci legge deve sapere che ancora oggi inquinare l’ambiente in cui viviamo, aprire una cava abusiva o scaricare illecitamente rifiuti è meno grave, per il nostro Codice, del furto di una mela. L’impegno preso dal Ministro dell’ambiente Andrea Orlando, proprio durante la presentazione del rapporto Ecomafia a Roma, lo scorso 17 giugno, insieme a quello dei presidenti delle Commissioni giustizia e ambiente della Camera, rispettivamente Donatella Ferranti ed Ermete Realacci, ci fa sperare davvero che questa possa essere la legislatura giusta. L’introduzione dei delitti ambientali deve andare di pari passo con un attento lavoro di semplificazione normativa, di depenalizzazione di reati meramente formali e da una maggiore efficacia dei controlli. Questa riforma di civiltà deve essere accompagnata anche da un’altra legge non più rinviabile, anche questa promossa da Legambiente e già presentata in parlamento proprio da Realacci, per restituire al nostro paese la certezza del diritto contro l’abusivismo edilizio. Oggi non è così. Chi realizza una casa illegale ha troppe possibilità di farla franca, anche senza nuovi condoni. Semplicemente perché le ordinanze di demolizione restano lettera morta. Se queste leggi, come ci auguriamo, saranno approvate in fretta, avremmo fatto un passo in avanti importante per la tutela dell’ambiente in cui viviamo, della nostra salute e del diritto al futuro delle giovani generazioni. (http://www.edizioniambiente.it/news/48/crisi-quale-crisi-intervista-a-enrico-fontana/)

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