Azionisti critici. All'interno di ING USA si accende il dibattito sull'opportunità di abbandonare gli investimenti in aziende attive in Sudan. Ma l’azienda, per ora, non sembra reagire agli appelli. A spiegarlo sul Guardian è Marc Gunther.

ING USA mesi fa è stata separata dall’olandese ING Group e cambierà marchio in Voya Financial. Si tratta dunque – spiega il quotidiano britannico – di un momento particolarmente delicato a livello di immagine. Ma nell’occhio del ciclone è finito un suo fondo comune d’investimento che possiede alcune partecipazioni, stimate in un valore di circa 6 milioni di dollari, nelle cinesi PetroChina e China Petroleum & Chemical Corporation e nell’indiana Oil & Natural Gas Corp. Stando all'associazione Investitori Contro il Genocidio, tali aziende, insieme ala malesiana Petronas, risultano attive in Sudan. E quindi - sostengno gli attivisti - di fatto forniscono introiti a un governo che da anni è nella bufera a causa del conflitto del Darfur.

Alcune società, anche sotto la pressione di Investitori contro il Genocidio, hanno già iniziato a dismettere le proprie partecipazioni nelle compagnie petrolifere asiatiche. La campagna di sensibilizzazione ha raggiunto anche ING USA da più di un anno. E i suoi investitori hanno approvato una risoluzione per bloccare gli investimenti in aziende ritenute vicine a situazioni politicamente delicate. La mozione si è guadagnata poco meno del 60% di voti favorevoli, mentre più del 10% degli azionisti si è dichiarato contrario e poco meno del 30% si è astenuto. Ma per ora nulla sembra muoversi. Tanto più che il voto era riferito a ING Emerging Countries Fund, che lo scorso anno è stato fuso con Emerging Markets Equity fund e che quindi ora formalmente non esiste più. L’azienda ha diffuso una nota in cui specifica di aver sempre rispettato tutte le leggi in materia. Ma, almeno stando agli azionisti critici, questo non basta. (http://www.valori.it/economia/ing-azionisti-stop-investimenti-sudan-6661.html)

Valentina Neri
neri@valori.it

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