Responsabilità sociale e ambientale. Nati negli anni 60 negli Usa, nel nostro Paese il primo fondo etico risale al 1997. La finanza è, nell’immaginario collettivo, il regno del cinismo. Questa immagine è stata consolidata non solo dagli scandali finanziari, dai derivati legati al prezzo del grano (che hanno contribuito all’aumento della fame nel mondo) o dagli ‘squali’ di Wall Street che hanno ispirato la figura di Gordon Gekko. Anche gli investimenti poco ‘chiari’ hanno fatto la loro parte. Esiste, però, una zona del mondo finanziario in cui si gioca secondo regole diverse, pur nel tentativo di perseguire profitto. Si tratta della cosiddetta ‘finanza etica’.

La finanza etica si basa su strumenti finanziari che hanno come obiettivo l’investimento in settori che pongono in primo piano la responsabilità sociale e ambientale. In questo modo vengono discriminati tutta una serie di enti (dalle imprese piccole alle multinazionali, dalle associazioni di settore agli Stati) che basano il proprio profitto su settori avversi ai principi dettati da questo ramo della finanza. È proprio il principio della “esclusione” la base su cui si fondano gli investimenti etici. A questo punto si apre un panorama troppo vasto, basti ricordare alcuni settori come quello della fabbricazione delle armi, le industrie del tabacco, fino ad arrivare alla pedopornografia e i regimi autoritari (per citarne alcuni).

In tutto ciò il ruolo della finanza etica non è da considerarsi solo ‘umanitario’. Vige, infatti, anche il principio della ‘inclusione’ e questo è riferito agli investimenti mirati alla creazione di un profitto non solo più ‘equilibrato’ ma anche più ‘duraturo nel tempo’ dal momento che i fondi di investimento che hanno come sottostante strumenti che identificano nel proprio target di riferimento la salvaguardia dell’ambiente o dei diritti civili, vantano fondamenta più solide.

Questo ambito finanziario si basa principalmente su strumenti della finanza classica quali fondi comuni che hanno come sottostante investimenti etici, ovvero i cosiddetti Social responsible investment (SRI). Esistono poi strumenti legati principalmente a questo settore finanziario come quello del microcredito e la finanza etica in senso stretto in cui gli investitori rinunciano a una parte degli utili.

Il concetto di investimento etico non è di recente invenzione. La salvaguardia dell’ambiente e dei diritti civili nasce parallelamente all’evolversi della finanza, sin dal secolo scorso, soprattutto intorno agli anni 60 e 70, tant’è che il primo fondo di investimento di questo tipo è il World Pax Found nato negli Stati Uniti nel 1971. Nel nostro Paese dobbiamo aspettare il 1997 con Sanpaolo internazionale azionario etico. Ma i vari soggetti che hanno alimentato il settore degli investimenti etici sono confluiti in un’associazione nata 24 anni fa: l’Inaise, ossia l’acronimo inglese di associazione internazionale degli investitori nell’economia sociale. Nata a Barcellona nel 1989 l’Inaise è passata in un quarto di secolo da sette a 43 membri e in Italia il soggetto più interessante è rappresentato da Banca Etica. Fanno parte della rete anche banche, cooperative, associazioni senza scopo di lucro e società di gestione del risparmio.

Indici etici e rating etico. Sono diversi poi i soggetti che compongono la struttura della finanza etica. Tra questi oltre a investitori e fondi che perseguono i principi di base della SRI ci sono gli indici etici e il rating etico. Mentre quest’ultimo agisce con le consuete regole dei rating, ovvero assegna un valore a un dato indice, fondo o ente in base al merito di responsabilità sociale o sostenibilità ambientale, i primi non sono altro che indici paralleli a quelli tradizionali improntati, però, sui princìpi della finanza etica. Il primo ‘indice etico’ è il Dsi400 (Domini Social Index 400), lanciato nel 1990, ma senza dubbio il più importante è il Djsi (Dow Jones Sustainability Index) nato nel 1999 e che oggi comprende circa il 10% delle maggiori aziende che investono in Esg (environmental, social and governance). In Italia da pochi anni sono due gli indici di riferimento del settore, il FTSE ECPI Italia SRI Benchmark Index, l’indice che raggruppa le azioni di aziende che si distinguono per il buon rating in ambito ambientale, sociale e di governance (ESG) e il FTSE ECPI Italia SRI Leaders Index, composto da un piccolo basket delle migliori azioni del Ftse Ecpi Italia Sri Benchmark. Come sottolinea il comunicato stesso con cui nell’ottobre del 2010, è stata annunciata la nascita di questi due indici «Il lancio della nuova serie di indici sul mercato coincide con l'aumentato interesse degli investitori verso i temi della sostenibilità (SRI)».

Già, perché anche Borsa Italiana non è esente dal respiro internazionale dell’investimento etico, che attrae sempre più investitori in rotta con gli standard della finanza tradizionale. Di conseguenza sempre più enti mirano a creare opportunità di investimento in questa branca della finanza. In alcuni casi questi fondi di investimento alternativi hanno come benchmark, appunto, un indice etico; in altri esiste un comitato o un consulente privato, che indica quali sono gli investimenti compatibili con l’Esg.

Un po’ di numeri. I dati relativi agli investimenti etici nel nostro Paese e in Europa sono reperibili attraverso il 'Green, social and ethical funds in Europe' l’analisi condotta annualmente da Vigeo (agenzia di rating sociale e ambientale europea). Secondo l’ultimo report che fotografa la situazione a giugno dello scorso anno, in Europa esistono 884 fondi etici, la maggior parte domiciliati in Francia e in Belgio. Il nostro Paese ne conta appena quindici. Dopo il boom del 2009 e del 2010, quando proprio a cavallo della crisi finanziaria i Fondi Sri hanno avuto un incremento del 27 e del 29%, adesso il mercato sta attraversando una fase di consolidamento. In generale nel Vecchio Continente i fondi etici gestiscono asset per più di 94 miliardi di euro.

Alcuni protagonisti della scena italiana. In Italia si sono sviluppate diverse realtà legate ai temi della finanza etica. Da un lato gruppi finanziari e bancari tradizionali hanno lanciato fondi legati agli indici etici, dall’altro si sono sviluppate realtà legate unicamente ai principi del Sri. È il caso di Banca Etica e di Etica Sgr. La prima, nata nel 1999, si impegna a mantenere pubblici non solo i bilanci ma anche gli enti finanziati, «Con il risparmio raccolto – si legge sul sito di Banca Etica – finanziamo organizzazioni che operano in quattro settori specifici: cooperazione sociale, cooperazione internazionale, cultura e tutela ambientale». Nel tempo Banca Etica ha dato vita a un insieme di servizi finanziari paralleli alla finanza tradizionale di cui Etica Sgr è una delle colonne portanti. Si tratta, infatti, dell’unica società di gestione del risparmio italiana a collocare sul mercato solo fondi etici.

Raffaela Ulgheri

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