D: Cosa s’intende per ‘paradisi fiscali’?

R: I paradisi fiscali sono entità geografiche con propria autonomia amministrativa all’interno delle quali è possibile evadere o eludere le leggi e le normative fiscali in vigore nella maggioranza degli altri Paesi. I paradisi fiscali sono caratterizzati da:

  • a) un elevato segreto bancario;
  • b) mancanza di scambio di informazioni tra gli Stati e tra Stati e unità investigative;
  • c) quasi totale assenza di trasparenza su tutte le operazioni bancarie ed elevata segretezza delle operazioni e dei soggetti operanti.

D: Dove sono i paradisi fiscali?

R: Liste di paradisi fiscali sono state elaborate dai governi di vari Stati e da organizzazioni internazionali come l’OCSE. Secondo il Financial Secrecy Index della Tax Justice Network sono ricompresi paesi di ogni parte del mondo: oltre a nomi
ormai noti, come le isole Cayman o Seychelles, vi sono anche paesi europei (è il caso del Lussemburgo o del principato di Monaco), africani (ad esempio la Liberia), del Medio Oriente (ad esempio il Libano) e dell’Asia (ad esempio le Filippine).


D: Ma quando i paradisi fiscali corrispondo a paesi meno sviluppati, non è un bene? Non è un modo per portare risorse in nazioni che ne hanno più bisogno?

R: No, poiché le risorse entranti – proprio in quanto non tassate se non in minima misura - non vengono riversate all’interno dei bilanci pubblici dei paese e dunque non sono disponibili per politiche di sviluppo o di welfare del paese stesso.


D: Nei paradisi fiscali vi sono davvero così tante risorse?

R: Premesso che fare una stima precisa è molto difficile a causa dell’opacità che è caratteristica di queste attività, si può senz’altro affermare che la ricchezza che finisce nei paradisi fiscali è consistente: secondo una stima del Tax Justice Network, le risorse parcheggiate sono comprese tra i 21.000 e i 32.000 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra superiore al prodotto interno lordo annuo di USA e Giappone messi insieme.


D: E per quanto riguarda l’Italia?

R: Anche in questo caso occorre dire che la mancanza di trasparenza rende difficili stime esatte, ma le grandezze in gioco sono davvero grandi. Secondo quanto recentemente pubblicato da Nunzia Penelope , il patrimonio italiano attualmente
parcheggiato nei paradisi fiscali è – nell’ipotesi più cauta – pari a circa 500 miliardi di euro, a cui corrispondono 230 miliardi di tasse non pagate, una cifra pari a circa dieci ‘manovre finanziarie’.


D: Chi porta soldi nei paradisi fiscali fa qualcosa di illegale?

R: Nella grande maggioranza dei casi no poiché mancano leggi e normative che regolino la materia in modo adeguato.


D: E dunque chiedendo di combattere i paradisi fiscali non assumete una posizione ideologica?

R: E’ senz’altro giusto che un’azienda realizzi profitti, che però possono essere realizzati anche grazie al ‘supporto’ – in termini di servizi, infrastrutture, personale… - dei paesi in cui opera. E’ quindi giusto che i paesi stessi ricevano una parte
adeguata di questi profitti, che devono poi essere utilizzati bene dalle istituzioni per attività di interesse generale, in particolare per programmi sociali e di lotta alla povertà che conducano una situazione di maggiore giustizia sociale. D’altra parte gli stessi governi – si pensi a quelli del G8 e del G20, che certo non hanno posizioni pregiudiziali contro i paradisi fiscali – discutono da tempo su come combattere i paradisi fiscali.


D: Quali sono le vostre richieste al Governo, nel dettaglio?

Actionaid ritiene che per affrontare il problema dell’elusione fiscale praticata da soggetti che investono nei paradisi fiscali sia necessario agire sia a livello nazionale sia a livello internazionale/europeo tramite politiche concertate tra i vari paesi. ActionAid chiede al governo italiano di istituire delle norme vincolanti per disincentivare tanto le aziende quanto i singoli individui dal portare i propri risparmi in paradisi fiscali, sottraendosi così al fisco a danno di chi le tasse le paga. In tal senso il nuovo esecutivo dovrà riprendere con maggiore impulso quanto già avviato dal governo Monti; in particolare, riteniamo necessario intervenire in merito a:

  1. scambio di informazioni. Il governo italiano dovrebbe dare maggiore spinta all’istituzione di un Foreign Account Tax Compliance Act (FACTA) a livello europeo seguendo il modello statunitense: uno strumento per favorire lo scambio di informazioni relative ai conti correnti all’estero, che dovrebbero essere automaticamente trasmesse alle amministrazioni finanziarie del Paese dove il correntista risiede;
  2. rendicontazione Paese per Paese. Consiste nel chiedere alle imprese multinazionali di rendicontare i dati contabili e fiscali per le attività in ogni Paese dove operano. E’ una misura che non prevede la collaborazione dei paradisi fiscali poiché può essere richiesta dal governo del paese dove opera la sede madre dell’azienda. La richiesta al governo italiano è dunque quella di presentare un disegno di legge che vincoli le nostre multinazionali a pubblicare bilanci e dati relativi a profitti/tasse pagate paese per paese. Si dovrebbe esigere la rendicontazione da parte di tutte le multinazionali, ma si può partire da quelle ‘a partecipazione statale’;
  3. trasparenza sulla proprietà. È importante agire anche sulla trasparenza delle informazioni che riguardano la proprietà e la composizione societaria delle imprese. In questo senso il governo italiano e l’Unione Europea dovrebberomlavorare per rendere più stringenti le attuali raccomandazioni internazionali recepite nelle rispettive legislazioni.

D: Perché chiedete di usare le risorse che eventualmente verrebbero ricuperate dai paradisi fiscali per la lotta alla fame nel mondo? Non dovremmo dare priorità a scuole, ospedali, trasporti pubblici in Italia?

R: Lo stato italiano deve usare le risorse che provengono dalla fiscalità per far fronte a tutte le spese pubbliche. Quando si parla di spese sul versante sociale, o in favore dell’occupazione, certo può sembrare difficile dare delle priorità. Ma, anche in questi momenti di crisi, l’Italia resta uno dei paesi più ricchi del mondo e come tale ha il dovere di occuparsi di una tragedia planetaria come quella della fame (un dovere che, si ricordi, diversi governi italiani si sono assunti e hanno confermato a livello mondiale ed europeo). La risposta più convincente a questa domanda, però, sta nei numeri: le risorse portate nei paradisi fiscali sono talmente consistenti che, se mai si riuscisse a ricuperarle tutte (o anche solo la metà!), vi sarebbero risorse da investire sia nella lotta alla fame nel mondo sia dentro i nostri confini. Ricuperando anche solamente l’1% di quanto sottratto alla fiscalità italiana e portato nei paradisi fiscali si potrebbero sfamare per un anno ben 58 milioni di bambini; un numero significativo se si pensa che a soffrire la fame nel mondo sono circa 800 milioni di persone.


D: Con questa azione vi rivolgete al Governo. Ma non pensate che dovreste agire anche nei confronti delle aziende che si avvalgono dei paradisi fiscali?

R: ActionAid non è contro le imprese. Crediamo infatti che un’impresa sana e in buone condizioni sia una ricchezza per il nostro Paese, da valorizzare e sostenere. L’impresa che però ricorre ai paradisi fiscali, evitando così di pagare le giuste tasse,
sottrae importanti risorse alla collettività, fatto ancora più grave alla luce della crisi che stiamo attraversando. Con questo comportamento, oltretutto, danneggia tanto il suo Paese quanto le persone più sfortunate del pianeta: in mancanza di risorse che entrano grazie alla fiscalità, il nostro Paese taglia gli aiuti pubblici allo sviluppo, incluso quelli utili per la lotta alla fame. Senz’altro, dunque, è importante responsabilizzare le imprese affinché non facciano ricorso ai paradisi fiscali, anche
quando la legge glielo consente. In questa fase, però, ci rivolgiamo alle istituzioni perché definiscano appunto leggi e regole che impediscano il ricorso ai paradisi fiscali.


D: Pensate che la battaglia contro i paradisi fiscali possa aver successo? L’Italia da sola può davvero fare qualcosa di concreto?

R: Come spiegato in precedenza, ActionAid chiede al governo italiano di fare tre cose. La prima consiste nell’unirsi allo sforzo collettivo europeo contro i paradisi fiscali, poiché se l’Europa svolgesse una forte azione comune, i risultati sarebbero concreti e positivi. La seconda riguarda una cosa che l’Italia può fare da sola, senza impedimento alcuno, e che avrebbe immediati risultati positivi: chiedere alle imprese multinazionali di rendicontare i dati contabili e fiscali per le attività in ogni Paese dove operano e non solo nel paese di origine. Infine è fondamentale che i dati sulla proprietà e la composizione delle società siano accessibili a tutti. Agire in tal senso sarebbe molto importante e favorirebbe comportamenti virtuosi da parte delle aziende.

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