Le immagini della mostra di Carlo Rotondo testimoniano il sottile confine che divide “una vita dignitosa e l’indigenza totale”. Realizzate a Milano nell’inverno del 2013 ritraggono persone senza fissa dimora che un tempo, neanche troppo lontano, possedevano un lavoro e una casa.

ROMA - Angelo ha 50 anni, dopo il licenziamento si è separato dalla moglie e ha perso la casa, Antonio è rimasto senza lavoro perché malato di cuore, è in attesa della pensione e vive col sussidio di 220 euro al mese. Marco di anni ne ha 33, conosce sette lingue ed è chef, mentre Dario è un odontotecnico: entrambe sono disoccupati e vivono sulla strada. Poi ci sono anche Carmine, Teresa e Silvia. Volti e nomi di senza dimora, persone finite a vivere sulla strada, ma che un tempo, neanche troppo lontano, possedevano un lavoro, una casa e una famiglia. Uomini e donne che quasi senza accorgersene hanno intrapreso l’inesorabile “carriera della povertà”. A raccontare le loro storie, le immagini del fotoreporter Carlo Rotondo contenute nella mostra “Trincee Urbane”. Gli scatti sono stati realizzati a Milano nel 2013, durante il periodo invernale, grazie all’autorizzazione dell’Assessorato ai servizi sociali del comune di Milano, che ha concesso al fotografo il permesso di frequentare alcuni dei luoghi più emblematici della rete assistenziale della città: il Centro Aiuto in via Aporti, il mezzanino della metropolitana di Milano alla stazione centrale, la Casa dell’accoglienza in viale Ortles, l’ex scuola di via Mambretti. A Milano vivono 13 mila senza dimora “ma i posti letto durante il Piano freddo (40 giorni tra gennaio e marzo) arrivavano a malapena a 2.500”.

Rotondo ‘pratica la fotografia’ già all’età di 15 anni, il reportage sociale è l’ambito preferito, in particolar modo quello che prevede in ogni scatto ‘la presenza umana’. A 20 anni collabora con lo studio di un ingegnere civile per riprendere i danni provocati dal terremoto dell'Irpinia nelle case di Napoli (sua città d'origine), nel 2012 realizza due mostre, una sull'uso delle mani nel lavoro artigianale e l’altra sui volti delle donne asiatiche. Di persone a Milano ne ha incontrate molte “non immaginavano – racconta - che si sarebbero trovati un giorno in queste condizioni e alcuni di loro, ancora increduli, ritengono che sia solo una fase transitoria dalla quale riusciranno a tirarsi fuori. Spesso è un progetto che ne alimenta la speranza o l’esito di un colloquio con l’assistente sociale che li tiene aggrappati alla vita”.

Non sempre scattare foto è stato possibile, in quel caso Rotondo ha privilegiato il rapporto umano, l’incontro e la possibilità di entrare in relazione con l’altro, riuscendo a raccogliere una serie di confidenze e di forti testimonianze “dopo due ore di colloquio venivo via sicuramente con un bottino ben più ricco di conoscenze e sensibilità.” La crisi economica ha richiesto di rivedere stili di vita e comportamenti di consumo “ma solo la conoscenza diretta di chi ha perso tutto, lavoro, casa, risparmi, relazioni umane – dichiara il fotografo - ha reso più evidente ai miei occhi il sottile confine che divide una vita dignitosa dall’indigenza totale. Forse le foto migliori sono quelle che non ho scattato e che mi porto dentro”. (s.lup) (http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/443288/La-carriera-della-poverta-storie-di-chi-aveva-una-vita-normale)

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