Con lo studio Morals and Markets un esperimento che ha coinvolto 700 persone. Nel rapporto causale con la moralità la prima vittima è la responsabilità individuale.
di Luciano Canova
Molti di noi posseggono uno smartphone. E a molti di noi sarà capitato, proprio di fronte a questi telefonini, di lasciarsi andare al fascino della marca, dello status symbol, delle potenzialità esponenzialmente crescenti di oggetti iper-tecnologici. Nello scegliere tra ciò che offre il mercato, ogni catalogo è sfogliato quasi fosse un breviario, alla ricerca della migliore offerta o del rapporto qualità/prezzo più soddisfacente.
Sullo sfondo, come un rumore bianco, il pensiero di dove quel telefono è stato fabbricato. Con quali componenti? Il nostro telefono usa materiale environmental friendly? L’azienda che lo produce rispetta vincoli stringenti di sostenibilità? E, ancora, è stato impiegato lavoro minorile sotto-pagato per produrre il nostro telefono? Oppure no?
Queste domande, forse, assillano i nostri desideri per qualche minuto. E poi tornano a fare il loro lavoro: quello, cioè, dell’ininfluente rumore bianco.
La questione non è banale perché si tratta di un tema centrale delle letteratura non solo economica, ma anche sociologico-antropologica: qual è il rapporto tra economia di mercato e valori morali?
Il filosofo Michael Sendel, autore di un corso di teoria della giustizia che è un clamoroso successo anche su Youtube, ha scritto un saggio molto rilevante, Quello che i soldi non possono comprare (I limiti morali del mercato), in cui affronta rigorosamente il tema.
Da un punto di vista empirico, tuttavia, è ancora più rilevante lo studio pubblicato su Science da due ricercatori, Amin Falk e Nora Szech (università di Bonn): Morals and Markets. Attraverso il metodo sperimentale, infatti, i due studiosi hanno investigato il nesso causale tra mercato e valori morali, giungendo a un risultato tanto robusto quanto rilevante: l’economia di mercato erode i valori morali.
Lo studio è semplice e ben congegnato. Sostanzialmente, più di 700 soggetti sono stati divisi in tre gruppi (per ripetute sessioni), ognuno dei quali ha partecipato a un trattamento diverso che aveva di fronte il medesimo dilemma: scegliere tra la possibilità di ricevere del denaro o salvare la vita a un topolino[1].
Un primo gruppo di persone (individual treatment) ha partecipato all’esperimento senza interazioni con altri. Ogni soggetto di questo gruppo veniva messo di fronte a due opzioni:
- opzione A: ricevere 10 euro di compenso
- opzione B: salvare la vita a un topolino, altrimenti destinato ad essere eliminato dai ricercatori del laboratorio
Il secondo gruppo di persone, invece, ha partecipato a un esperimento (bilateral market) in cui, a coppie, si creava un’interazione tra un possibile venditore – cui veniva data, di fatto, in dotazione la vita del topolino – e un possibile compratore, per una negoziazione massima di 20 euro. In sostanza, il venditore poteva decidere se vendere la vita del topolino o se rifiutare qualunque scambio, salvando così l’animale. In caso di accordo, il venditore riceveva il prezzo e il compratore i 20 euro meno il prezzo pattuito. La morte del topolino, conseguenza della negoziazione, è un perfetto esempio di esternalità negativa di uno scambio.
Un ultimo gruppo, infine (multilateral market) ha partecipato all’esperimento con un’asta che consisteva in un mercato di 9 venditori e 7 compratori, in cui si poteva contrattare, come sempre, la salvezza del topolino o un determinato prezzo per cui venderla.
I risultati sono molto interessanti: nel trattamento individuale, solo il 45.9% degli individui decide di accettare i 10 euro, determinando la morte del topo; nella negoziazione a 2, il 72.2% delle persone vende la vita del topo per un prezzo inferiore a 10 euro; infine, nel trattamento con asta multilaterale, il 75.9% dei giocatori vende la vita del topolino, con prezzi che crollano drasticamente.
L’interpretazione offerta dai ricercatori offre molteplici spiegazioni:
- Quando ha luogo un’interazione di mercato, il fatto che ci siano più persone implica automaticamente la possibilità di condividere una responsabilità e, di conseguenza, anche la colpa di un atto immorale
- L’interazione di mercato rivela, attraverso uno scambio di informazioni, anche le norme sociali di un particolare contesto. Questo fa sì che, se una persona vede qualcun altro vendere la vita di un topo, può pensare che ciò sia moralmente accettabile. E compiere di conseguenza la medesima scelta
- Quanto più il mercato si amplia, tanto più prevale una sorta di liquefazione della responsabilità e di marginalità del singolo soggetto coinvolto. Se chi partecipa a un mercato arriva a pensare che il suo comportamento sia ininfluente per l’esito finale dello scambio, una sorta di rilassamento morale potrebbe prevalere.
Lo studio di Falk e Szech è di grande rilevanza, soprattutto in tempi di economia globale e crisi, allorché proprio la deresponsabilizzazione ha generato, nel mondo finanziario, comportamenti speculativi e immorali non in grado di tenere nel dovuto conto le conseguenze di lungo periodo di un azzardo morale.
I due ricercatori concludono l’articolo senza un giudizio di merito sull’economia di mercato: nessuno, infatti, sostiene che altre modalità di rapporto tra economia e società (economie centralizzate e totalitarie, per esempio) producano risultati moralmente più accettabili. Questo studio, tuttavia, getta luce in modo scientificamente robusto sul rapporto causale tra mercato e valori, ponendo l’accento sulla questione della responsabilità. Un principio troppo spesso negletto dalla società odierna.
[1] Si trattava di topolini di laboratorio che, in gergo, sono chiamati ‘surplus’. Inadatti a esperimenti, sono destinati all’eliminazione. Di conseguenza, questo è uno studio che ha salvato la vita a qualche topolino altrimenti destinato a morte sicura.
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