di Filippo Miraglia

Errare è umano ma perseverare, come ci hanno insegnato, è diabolico. Forse l’attuale governo di larghe intese sperava che l’estate 2013 fosse caratterizzata da temporali e maremoti e che dunque il canale di Sicilia risultasse impraticabile alle imbarcazioni. Forse pensava che avrebbero provveduto gli amici egiziani, libici o tunisini a bloccare le persone in cerca di protezione internazionale (e sono la maggioranza) o, più semplicemente, alla ricerca di una vita migliore.

O forse, e pare la spiegazione più probabile, era ed è in tutt’altre faccende affaccendato e quindi senza il tempo o la voglia di pensare a come approntare una normale accoglienza per qualche migliaio (in media 17 mila negli ultimi 10 anni) di persone che ogni anno chiedono protezione al nostro Paese, e tanto meno di occuparsi di organizzare l’arrivo sulle nostre coste di poche migliaia di persone (in media negli ultimi 8 anni circa 25 mila all’anno). Tutto prevedibile, nulla di straordinario. Soprattutto numeri ben al di sotto di quelli che affrontano altri paesi europei. Invece, come ogni anno, sembra che il destino ci abbia riservato un evento straordinario e imprevedibile. Lo Stato e la sua macchina non erano preparati. C’è sempre una giustificazione ovviamente: la crisi, l’instabilità di governo, la fase politica difficile… Il risultato come al solito è un sistema al collasso, l’emergenza assunta quasi a ideologia, o a scelta culturale, le comunità locali investite da un evento ‘normalmente straordinario’. E poi, ma a questo sembriamo interessati in pochi, produzione di ingiustizie, discriminazioni e, purtroppo in molti, troppi casi, anche morti. L’isola di Lampedusa costretta ancora una volta, nonostante il meritevole impegno della sindaca Giusi Nicolini, a far fronte ad arrivi, salvataggi, tutti per fortuna condotti con professionalità e generosità dalla guardia costiera e dalle altre forze dell’ordine impegnate nel canale di Sicilia, non programmati e quindi con strutture inadeguate e strumenti insufficienti.

Le persone obbligate a vivere una condizione che può essere descritta nei termini vietati dalle convenzioni internazionali e dalle leggi che puniscono i trattamenti disumani o degradanti (e non è forse degradante vivere in 1200 in un centro con 300 posti!).

L’opinione pubblica ancora una volta

investita da informazioni che alimentano l’idea della ‘invasione’ di una ‘massa di disperati’, cioè la convinzione che sono tanti, troppi e pure ingrati perché osano lamentarsi. La solita rappresentazione distorta che alimenta razzismo.

E come Lampedusa, tanti altri luoghi dove le persone vengono espropriate della loro umanità, trasformati in stranieri senza diritti. Così, per esempio, a Siracusa c’è un luogo - ne parliamo in questa pagina - dove i minori vengono tenuti per mesi, numerosissimi, in condizioni di promiscuità con adulti, senza alcuna tutela, contro il buon senso e contro la legge. A Siracusa, come a Lampedusa, in nome di un’emergenza inventata,si ledono i diritti fondamentali delle persone. Tra questi si lede, insieme al diritto dei minori a vedersi riconosciuta subito una specifica e adeguata accoglienza, l’articolo 13 della Costituzione, che riguarda la libertà delle persone. A Lampedusa come a Siracusa e in altri luoghi/non luoghi, le persone vengono trattenute illegittimamente, anche per lunghi periodi, in attesa che si definisca il loro percorso. Viene cioè leso un principio costituzionale tanto importante a causa di ritardi dovuti al’incompetenza o all’inconsistenza dell’organizzazione dello Stato. In questo Lampedusa è il simbolo e allo stesso tempo il sintomo di una malattia della nostra democrazia che rischia di contaminare giorno dopo giorno le fondamenta della convivenza. Ricominciare dall’isola più a sud del Paese, riaffermando i diritti delle persone e i principi costituzionali, può essere, in questa strana estate italiana, un modo per sostenere la necessità di un cambio di stagione, di una alternativa all’unica vera emergenza, quella democratica.

miraglia@arci.it

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