Tra novembre e dicembre prossimi andrà in onda in prima serata su Raiuno
il reality show “The Mission”. Si tratta del primo reality
umanitario prodotto in Italia, otto personaggi famosi aiuteranno gli operatori
umanitari dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, e
della ONG Intersos in alcuni dei tanti campi profughi sparsi
per il mondo.
La macchina organizzativa di The Mission è già partita, con
qualche problema nella composizione del cast. Protagoniste del programma saranno
due coppie di vip per ogni puntata, le destinazioni non saranno quelle a cinque
stelle, bensì zone disagiate in tutto il mondo. I vip dovranno regalare
qualche giorno di spensieratezza alle popolazioni locali. Queste le
prime informazioni che trapelano dalla produzione.
I volti noti che hanno per ora confermato la partecipazione sono
Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Al Bano Carrisi, Paola Barale ed
Emanuele Filiberto. Per completare il cast si parla di
Elisabetta Canalis, che forse avrebbe già dato forfait,
Vittoria Belvedere, Alba Parietti e Dario Vergassola.
“A novembre parteciperò al reality umanitario di RaiUno Mission. dichiara Al
Bano. Per 10 giorni vivrò tra i rifugiati del Sudan e sarò in mezzo a loro,
canterò assieme a loro e mi darò da fare per cercare di
aiutarli. C’è qualche rischio (è una zona molto “calda”) ma ci tengo
sul serio ad andare lì perché sarà sicuramente una esperienza straordinaria. Mi
arricchirà umanamente”.
La puntata zero è stata registrata la scorsa estate ma non andrà in onda.
Michele Cucuzza e Barbara De Rossi hanno visitato un campo profughi a Yambio nel
Sud Sudan , a venti chilometri dal Congo, rimanendo bloccati
per alcuni giorni a causa di un’epidemia di ebola a causa della chiusura dei
confini.
La responsabile dell’Unhcr Laura Iucci spiega “Collaboriamo a questo
programma perché abbiamo l’opportunità di far capire al grande pubblico
chi sono i rifugiati, perché scappano, quale è il loro background.
Pochi sanno che in tutto il mondo ci sono 40 milioni di rifugiati. Molti restano
nei campi anche per venti anni. Sono vite spezzate”. Nessuna
spettacolarizzazione e niente logiche da Grande Fratello o da Isola dei
Famosi, assicura l’Unhcr. “La nostra priorità rimane quella di
proteggere i rifugiati. Saranno raccontate solo le storie di chi decide di
essere ripreso dalle telecamere”, continua Iucci, “Saremo i primi a vigilare: i
nostri operatori seguiranno passo passo la troupe televisiva, non la lasceranno
neanche per un minuto”.
Nonostante le rassicurazioni preventive, c’è chi teme che comunque un format
del genere in prima serata su Raiuno non possa che deragliare nel
pietismo umanitario andando ad alimentare una visione della
cooperazione, del sud del mondo e della povertà da cui da anni si cerca di
uscire.
Da Twitter i commenti più cattivi parlano già di pornografia
umanitaria, profughi trattati come sfondo esotico di un reality,
atteggiamento colonialista, terzomondismo pret a porter da pubblico di prima
serata. Certo, conoscendo il livello usuale di questi contenitori televisivi e
le performance pregresse degli “artisti” coinvolti è davvero difficile non
pensare male e non prepararsi al peggio.
D’altro canto, è vero, c’è la crisi economica e la fame, quella di donazioni.
Dalla produzione assicurano un effetto positivo anche in questo senso, il
pubblico sarà sensibilizzato e spinto ad aiutare mettendo mano al portafoglio o
al telefonino.
Siamo sicuri che le note organizzazioni coinvolte avranno valutato
attentamente costi e benefici di questa operazione e che non
mancheranno di fare del loro meglio per tutelare l’etica e gli ideali che la
cooperazione internazionale rappresenta con i suoi operatori e volontari in
Italia e nel mondo. Il rischio generalizzazione è davvero alto così come quello
di rappresentare in modo patetico e pietista la condizione drammatica di
migliaia di persone.
Ma c’è ancora tempo per evitare che tutto questo accada. Le
puntate saranno girate a breve nonostante le grosse difficoltà legate alla
sicurezza e le cancellazioni già avvenute per motivi logistici. Come location si
parla dei campi profughi in Giordania e quelli in Sud
Sudan.