Le grandi firme della moda pronta chiamate a rispettare gli impegni presi dopo le tragedie. Walmart, Gap ed altre multinazionali non aderiscono agli accordi su sicurezza e diritti proposti da sindacati e Ong.
di Umberto Mazzantini
A 8 mesi dall’incendio della fabbrica Tazreen ed a tre mesi dopo il crollo e dalla strage di lavoratori del Rana Plaza, in Bangladesh, la Clean clothes campaign /Campagna abiti puliti (Ccc) «Invita tutti i marchi coinvolti a partecipare agli incontri fissati per definire lo schema del risarcimento dovuto ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime». Si tratta di riunioni organizzate dai sindacati IndustriALL Global Union, IndustriALL Bangladesh Council e dai loro partner internazionali che si terranno l’11 e il 12 agosto a Dhaka, la capitale del Bangladesh.
Ccc ricorda che «Gli incontri hanno lo scopo di riunire le aziende che hanno effettuato ordini presso i due stabilimenti in cui la mancanza di norme di sicurezza e di tutela della salute ha causato 1.243 morti e migliaia di feriti. Tra i marchi invitati ci sono Benetton, Mango, Walmart, Primark, The Walt Disney Company e l’agenzia internazionale Li & Fung. Ciascuna aveva effettuato ordini a una delle fabbriche coinvolte dalle tragedie. Oltre a queste, sono state invitate anche le italiane Manifattura Corona, Piazza Italia e Yes Zee».
Si vuole avviare insieme ai grandi marchi della moda pronta internazionale un processo collaborativo per determinare il risarcimento e la distribuzione dei pagamenti alle vittime ed ai familiari di quelle due tragedie dello sfruttamento umano, e di quella che Papa Francesco chiamerebbe la globalizzazione indifferente.
Il percorso è già stato tracciato da precedenti esperienze legate ad altre tragedie che hanno sconvolto il Bangladesh – sottolinea Ccc – Il confronto era già iniziato in relazione alle vittime e ai sopravvissuti dell’incendio alla Tazreen. Alcuni marchi si erano impegnati a partecipare al risarcimento, ma la tragedia del Rana Plaza ha di fatto bloccato questo processo. Chiediamo che i negoziati a questo punto ripartano».
Ma nonostante le promesse dopo la strage senza fine del Rana Plaza, che rivelò al mondo il lato oscuro delle multinazionali della moda, solo Primark ad oggi ha pubblicamente dichiarato che parteciperà al fondo di risarcimento delle vittime secondo lo schema previsto. «Gli altri marchi, invece – dicono gli attivisti – hanno preferito per ora annunciare solo operazioni caritatevoli piuttosto che impegnarsi seriamente sul fondo negoziato. Indagini sul campo indicano che molti lavoratori insieme alle loro famiglie vivono situazioni disperate, non essendo in grado di pagare le spese mediche, alimentari e quotidiane».
Ccc racconta la storia di una sopravvissuta che ha perso il marito, che risulta ancora disperso, nel crollo del Rana Plaza: «Il marito lavorava al quinto piano alla fabbrica Phantom Tec come addetto alla cucitura guadagnando 4.800 taka (47 euro) al mese. Lei è l’unica speranza per il suo bambino di 7 mesi e per l’anziano padre in pessime condizioni di salute. La Bgmea, l’associazione degli esportatori bengalesi, le ha offerto una macchina da cucire e 1.000 Taka (10 euro), ma non ha più ricevuto lo stipendio del marito o qualsiasi altro risarcimento».
I risarcimenti per le vittime del Rana Plaza si aggirano intorno ai 54 milioni di euro, per la Tazreen intorno ai 4,3 milioni di euro e non comprendono le spese mediche per i lavoratori feriti, il supporto psicologico per loro e per tutti i familiari delle vittime e il pagamento degli stipendi e dei trattamenti di fine rapporto per chi ha perso il lavoro.
Di fronte a questo scenario di ingiustizia e disperazione, Walmart e Gap, due multinazionali che hanno sulla coscienza la mancata prevenzione e la morte di numerosi lavoratori in Bangladesh, hanno annunciato un loro programma di ispezioni che secondo Ccc «Va ad aggiungersi alla lunga lista di interventi inefficaci propagandati per anni».
Dopo le promesse iniziali, mentre si estraevano i cadaveri mutilati delle operaie dalle macerie del Rana Plaza, Walmart e Gap, insieme ad altri marchi, molti statunitensi, anche se non tutti, hanno rifiutato di firmare l’Accord on Fire and Building Safety in Bangladesh, un vero programma per la sicurezza dei lavoratori sottoscritto da più di 70 aziende in oltre 15 Paesi. Ccc denuncia: «Walmart, Gap e le aziende che hanno scelto di unirsi a loro, non sono disposte ad impegnarsi in un programma grazie al quale sarebbero realmente costrette a mantenere le promesse fatte ai lavoratori e ad accettare la responsabilità finanziaria di garantire che le loro fabbriche siano effettivamente rese sicure. Al contrario, offrono un programma che imita l’Accordo in maniera retorica, omettendo le caratteristiche che lo rendono significativo».
Secondo Deborah Lucchetti della Campagna abiti puliti, «L’approccio volontaristico e auto-referenziale proposto da Walmart e Gap ricalca esattamente tutte le fallimentari e fumose politiche di Responsabilità sociale delle imprese che hanno fatto da paravento ad una realtà durissima, quella del Bangladesh, dove migliaia di lavoratori sono morti a causa della negligenza prolungata delle imprese. L’Accordo sulla prevenzione e la sicurezza sviluppato dal sindacato internazionale e bengalese, firmato da più di 70 marchi internazionali rappresenta un processo radicalmente diverso, che impegna le imprese a fare ciò che dicono e coinvolge direttamente i rappresentanti dei lavoratori. Walmart e Gap farebbero bene a firmare quello, se davvero vogliono prevenire nuovi gravissimi fatti luttuosi».
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