24 luglio: Ottolini «Povertà è emergenza del Paese. Occorre patto tra politica e coscienza civile per un cambio di cultura. Rimettere al centro del modello persona e famiglia». «Oltre 9,5 milioni di italiani – vale a dire il 16% circa della popolazione – vivono in condizione di povertà. Sono, purtroppo, ben 4,8 milioni le persone che vivono in condizioni di assoluta indigenza e alle quali mancano beni e servizi essenziali. La metà di loro vive al Sud, dove dal 2011 a oggi sono aumentati di oltre mezzo milione. Sono dati drammatici che si commentano da soli». Lo dice Maurizio Ottolini, vicepresidente vicario di Confcooperative intervenendo, intervenendo a “Un patto aperto contro la povertà” organizzato dalle Acli a Roma.
«La povertà, in Italia, sta assumendo la dimensione di un grande problema sociale. Registriamo una condizione straordinaria di accresciuta e crescente povertà dovuta – continua Ottolini – agli effetti di una crisi economica troppo a lungo protrattasi e lontana dall’essere risolta, alla quale sono mancate risposte tempestive ed adeguate. A tutto ciò si aggiunge una povertà più “strutturale” che deriva dall’involuzione dei valori di solidarietà e giustizia sociale, a vantaggio di una lunga stagione di egoismi e di tutela di particolarismi e privilegi».
«La povertà è, dunque, un problema che investe, da un lato, la responsabilità della politica – aggiunge il vicepresidente di Confcooperative – cui compete il compito di armonizzare la crescita complessiva della società e, dall’altro, ognuno di noi, chiamato a contribuire alla rinascita etica dell’Italia anche in attuazione dell’art. 2 della Costituzione che insieme al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili per l’uomo, ne richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale».
«La persona e la famiglia devono ritornare al centro del modello di lavoro, di società, di vita e di scelta della politica. Le cooperative, pur soffrendo i morsi della crisi, negli ultimi 5 anni, hanno aumentato l’occupazione dell’8%. Non hanno delocalizzato. Hanno continuato a operare sui territori, hanno difeso il lavoro, hanno garantito reddito alle famiglie, hanno costruito reti di welfare, hanno consolidato i rapporti sociali anteponendo la persona la profitto. Le politiche sociali, in questo Paese, devono essere orientate verso i territori e le persone. È questo il cambio di visione che occorre alla politica e alla società civile».
«Quello che si apre davanti a noi è, dunque, un percorso complesso, perché è molto vasta la platea delle persone che, per cause diverse, si misurano con i morsi della povertà e necessitano di risposte tempestive e risolutive. Ed è altrettanto arduo – conclude Ottolini – perché va controcorrente rispetto a consuetudini negative, a lungo coltivate e, quindi, difficili da sradicare».