Sempre più privato, sempre meno pubblico. Anche il rapporto 2013 Isnet sull’impresa sociale denominato “Osservatorio sulla dinamicità relazionale delle imprese sociali in Italia” e pubblicato a inizio mese delinea il costante mutamento nelle relazioni con gli enti locali (Comuni, Regioni, Province) da una parte e con imprese profit dall’altra.

L’Osservatorio verifica annualmente i dati di andamento e sentiment dell’impresa sociale sulla base di un campione nazionale di cooperative sociali altamente rappresentativo. Il campione di riferimento di quest’anno sono 400 cooperative sociali rappresentative del territorio nazionale, costituite al 59% da coop di tipo A (assistenza socio sanitaria), al 33% coop di tipo B (inserimento categorie svantaggiate), al 4,3% da coop miste e al 3,7% da consorzi.

Il rapporto mostra, infatti, che il numero delle organizzazioni che dichiara di non avere rapporti con gli enti locali è pari al 7,7%, nel 2011 soltanto il 2,8% non aveva rapporti con il pubblico. Il 40% si dichiara insoddisfatto della relazione. Questo soprattutto a causa del ritardo dei pagamenti e ai conseguenti problemi di liquidità. Le imprese sociali intensificano la collaborazione con il privato (nel 2008 le imprese sociali che non avevano rapporti con le aziende erano il 40% oggi sono il 23%).

Che cosa accadendo? «Stiamo assistendo a uno spostamento – commenta Laura Bongiovanni, presidente dell’associazione Isnet e responsabile dell’Osservatorio -. Inizialmente l’impresa sociale ha dialogato prevalentemente con gli enti pubblici, oggi sono sempre più forti le alleanze con le altre organizzazioni no profit e il dialogo con le aziende profit. A seguito della crisi sistemica e del ridimensionamento del welfare pubblico, diventano più articolati i rapporti di fornitura o di partnership con le imprese. Penso, per esempio, al welfare aziendale (agli asili aziendali gestiti da coop di tipo B). Le aziende sono sempre più attente a dare risposte alle esigenze dei loro dipendenti».

Il pubblico rimane ancora prevalente, ma le coop nuove tendono ad avere meno legami. Due su tre delle imprese interpellate lavora prevalentemente con il pubblico (con un leggero calo di 0,6 punti percentuali rispetto alla scorsa edizione), ma tra le imprese che lavorano meno con il pubblico ci sono le organizzazioni più giovani, quelle localizzate nel Nord-est e le cooperative di tipo B.

Se il privato intesse relazioni e si serve delle Coop per la fornitura di servizi, al momento non entra in campo nel finanziamento. «Non si vedono formule di sostegno finanziario da privati – dice Bongiovanni – . L’impresa sociale è molto attenta al crowdfunding e sta cercando di aprire finestre. Rimane il divieto dettato dalla legge di non poter distribuire utili e sappiamo questa legge non sta incentivando la nascita di nuovi soggetti. Vedremo se questo Parlamento cambierà qualcosa». Le cose, in realtà, hanno già iniziato a muoversi con il regolamento sul crowdfunding di Consob (vedi l’articolo di ieri di ETicaNews, Crowdfunding, sdoganati i profitti sociali).

Intanto - fenomeno che si conferma ancora una volta – le imprese sociali (cioè le coop) resistono alla crisi, innovano e danno occupazione. Certo, anche l’impresa sociale risente come tutte le altre organizzazioni della crisi sistemica in atto (dal 2007 a oggi sono aumentate di 21 punti percentuali le imprese che dichiarano un andamento in difficoltà), ma la quota di imprese sociali con un trend positivo o costante è del 63 per cento. Buone le prospettive per l’occupazione: 3 imprese sociali su 4 ritengono che il personale rimarrà invariato o sarà in crescita per l’anno in corso.

La percentuale di chi investe in innovazione, intesa come sviluppo nuovi prodotti e servizi, identificazione nuove aree geografiche o categorie di clienti, miglioramento organizzativo e ottimizzazione dei processi è dell’88,3% e si conferma la correlazione positiva tra innovazione e performance economica. Il 18,7% ha progettato start up e il 5,7% le ha fondate (+2,4%).

Le imprese sociali sono consapevoli che gli investimenti relazionali e in innovazione sono necessari per affrontare la crisi: anche se non si generano nuovi ricavi, gli investimenti in innovazione e dinamicità relazionale sono necessari per la tenuta sui mercati avviando processo di diversificazione rispetto all’interlocutore pubblico. Molto alti gli indici di collaborazione con altre organizzazioni (il 70,7% ha avviato nuovi rapporti nel 2012), stabili i rapporti con gli Enti Pubblici.

I media sono uno stakeholder “ignorato”: il 60% dichiara di non avere relazioni con i giornalisti.

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