In un nuovo rapporto diffuso il 9 luglio, "Frontiera
Europa: violazioni dei diritti umani al confine della Grecia con la
Turchia", Amnesty International ha denunciato che rifugiati e migranti provenienti da paesi devastati dai
conflitti, come Siria e Afghanistan, e che cercano di raggiungere l'Europa via
Grecia, vengono illegalmente respinti dalle autorità di Atene verso la Turchia.
In 40 pagine, il rapporto di Amnesty International esamina la
pericolosa prassi dei respingimenti, con cui
le autorità greche rimandano indietro gruppi di migranti che si presentano ai
confini, negando loro il diritto di avere accesso a una procedura d'esame caso
per caso e di contestare la loro espulsione.
Il rapporto
dell'organizzazione per i diritti umani mette inoltre in luce i rischi che rifugiati e migranti corrono cercando di
raggiungere dalla Turchia le isole della Grecia e le drammatiche condizioni di
detenzione in cui spesso si ritrovano coloro che ce l'hanno fatta a raggiungere
il suolo greco.
Dal mese di marzo, Amnesty International ha parlato con
una trentina di persone in Grecia e in Turchia che, in almeno 39 casi specifici,
sono state fermate mentre cercavano di attraversare il Mar Egeo o di raggiungere
il confine settentrionale tra Grecia e Turchia, lungo il fiume Evros. Quasi
tutti hanno riferito di aver subito o di aver assistito ad atti di violenza o a maltrattamenti da parte delle autorità greche. Molti hanno
raccontato che le guardie di frontiere hanno sottratto i loro effetti personali,
il denaro, nonché foto e ricordi di famiglia, in alcuni casi gettandoli in mare.
"Ciò che sta accadendo lungo il confine greco non è una vergogna solo per la Grecia ma per l'intera Unione
europea" - ha dichiarato Jezerca Tigani, vicedirettrice del Programma
Europa e Asia Centrale di Amnesty International.
"La quantità di storie
di respingimenti che abbiamo raccolto è estremamente allarmante e lascia pensare
che le autorità greche ricorrano a queste operazioni regolarmente, nonostante
siano illegali e molto pericolose, al punto da mettere seriamente a rischio le
vite delle persone" - ha proseguito Tigani.
Le testimonianze raccolte da
Amnesty International mettono in luce il flagrante disprezzo per la vita umana
mostrato dalla guardia costiera della Grecia durante le operazioni condotte nel
Mar Egeo: 13 dei 14 intervistati respinti in Turchia hanno raccontato che le
loro imbarcazioni gonfiabili sono state colpite, bucate o quasi capovolte mentre
venivano circondate o agganciate dalle navi della guardia costiera. I motori
delle imbarcazioni sono stati disattivati e i remi rimossi, lasciando le persone
a bordo andare alla deriva in mare. Azioni che hanno messo in pericolo la vita
delle persone sono state riferite anche da chi è stato fermato dopo aver
attraversato il fiume Evros.
La rotta che attraversa il Mar Egeo è
diventata la più battuta da quando, nel 2012, la Grecia ha costruito una
barriera di 10,5 chilometri e ha dispiegato circa 2000 nuove guardie di
frontiera lungo il confine del fiume Evros. È una rotta pericolosa. Dall'agosto
2012 sono annegate oltre 100 persone, tra cui donne e bambini, nella maggior
parte dei casi provenienti da Siria e Afghanistan.
"Mentre le condizioni
climatiche migliorano e i conflitti in Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia
proseguono, ci aspettiamo che un numero maggiore di persone intraprenda il
viaggio e che tragedie del genere diventino più frequenti" - ha commentato
Tigani.
Coloro che riescono ad entrare in Grecia vengono abitualmente
posti in detenzione, in celle buie e sporche, per
lunghi periodi di tempo. Molte delle persone incontrate da Amnesty
International erano agli arresti da quasi nove mesi. I problemi di salute sono
diffusi.
"Le condizioni in cui migranti e rifugiati sono detenuti sono
spesso agghiaccianti. Quando li abbiamo incontrati nelle celle, è stato
difficile ricordarci che eravamo davvero nell'Unione europea. Molti di loro
fuggivano da conflitti, povertà e fame e troppo spesso si sono ritrovati in
celle buie, sporche e umide, con scarsa ventilazione e cibo insufficiente" - ha
accusato Tigani.
"Alcuni detenuti ci hanno detto di aver chiamato la
polizia per avere il permesso di usare i gabinetti, di cui le loro celle sono
privi. Dopo ore e ore di vana attesa di una risposta, hanno dovuto urinare nelle
bottiglie. Altri hanno riferito che le loro lenzuola non venivano lavate da mesi
e che l'accesso a sapone, shampoo e carta igienica era limitato" - ha proseguito
Tigani.
In occasione della diffusione del suo rapporto, Amnesty
International ha chiesto alle autorità greche di fermare immediatamente i respingimenti e indagare sulle
denunce di espulsioni collettive e di maltrattamenti, aprendo
procedimenti giudiziari nei confronti delle persone coinvolte. L'organizzazione
per i diritti umani ha inoltre chiesto che le persone intercettate mentre
attraversavano la frontiera possano accedere a una procedura equa di
accertamento della loro richiesta di protezione internazionale.
Anche
l'Unione europea ha un ruolo in questa situazione, ha precisato Amnesty
International: deve aiutare le autorità greche a migliorare i servizi di
accoglienza invece che a sigillare i confini; deve esplorare nuove modalità per
condividere le responsabilità per i migranti e rifugiati.
"Naturalmente,
è prerogativa della Grecia controllare i suoi confini
ma non alle spese dei diritti umani di coloro che cercano di
raggiungere la salvezza o sono in cerca di migliori condizioni di vita in
Europa. Sono tempi difficili in Grecia e per milioni di persone in tutta Europa,
ma non vi è alcuna scusa per il modo in cui vengono trattati i migranti e i
rifugiati" - ha sottolineato Tigani.
"Altri stati membri dell'Unione
europea appaiono sin troppo contenti del ruolo di 'portiere della squadra' della
Grecia. Ma le politiche e le prassi applicate alla frontiera greca mettono in
luce l'amaro paradosso di paesi europei che premono per la pace all'estero e che
negano asilo e pongono a rischio la vita di chi cerca riparo in Europa. L'Unione
europea deve agire subito per porre fine alle violazioni dei diritti umani ai
suoi confini" - ha concluso Tigani.