Pubblichiamo di seguito il testo della lezione di Colin Sage, docente e ricercatore presso la University College Cork tenutasi lo scorso 27 giugno alla Siena School for Liberal Arts sul tema “Visioni contrapposte sulla futura sicurezza alimentare”.
Mentre i poveri del mondo continuano ad essere colpiti dalla volatilità dei prezzi (vedi Figura 1), la strada verso un sistema alimentare globale sostenibile è contestata in modo sempre più aggressivo. Come faremo a ridurre il numero di persone malnutrite nel mondo (vedi Figura 2), in un periodo in cui l’agricoltura delle aree dei principali paesi produttori di grano (gli Stati Uniti, Australia, Cina, Russia) è colpita da siccità e caldo senza precedenti, possibile conseguenza del cambiamento climatico?
Dal 2008 in poi diversi relazioni e pubblicazioni scientifiche hanno cercato di individuare le cause dell’aumento dei prezzi del cibo, proponendo anche possibili soluzioni. Per capire lo stato delle cose, è fondamentale analizzare criticamente il modo in cui è stato affrontano il problema e soprattutto indagare sul ruolo che l’agricoltura riveste in ognuna delle loro analisi.
Fra i documenti presi in esame in questa conferenza ci sono quelli che originano dalla International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD, Agriculture at the Crossroads, 2009) e il Forum Economico Mondiale (Realizing a New Vision for Agriculture, 2011).
La relazione dell’IAASTD, per esempio, dà enfasi ai diversi ruoli dell’agricoltura nella riduzione della povertà e della disuguaglianza, nel frenare la degradazione ambientale e nel mitigare il cambiamento climatico. Riconosce l’importanza di una produzione agricola diversificata che si basa su metodi agro ecologici già utilizzati dai piccoli agricoltori, che assicurano una ritrovata stabilità di sostentamento, e allo stesso tempo contribuiscono ad una varietà di beni pubblici, come l’assorbimento del carbonio e la conservazione della biodiversità, oltre all’offerta di cibo.
Per l’IAASTD, “il business tradizionale non è più un’opzione”. La relazione del Forum Economico Mondiale, risultato di un processo guidato da 17 delle più grandi aziende agro-alimentari del mondo, come Unilever, Nestlè, Coca-Cola, Kraft Food, fornisce una visione abbastanza diversa delle prossime sfide. Per queste grandi multinazionali, il cibo fa parte di un sistema globale di produzione e consumo. Secondo loro esiste una crescente domanda di cibo – inclusi “più prodotti a sfruttamento intensivo di risorse come la carne e latticini” – per una popolazione mondiale in crescita.
Il ruolo dell’agricoltura è “nutrire e alimentare l’attività umana,” e quindi deve essere guidata dall’innovazione e dall’impiego delle migliori tecnologie disponibili. La strategia di questa aziende è quella di avere un controllo sempre più ampio sui semi: Monsanto ad esempio, fra il 1996 e il 2008 ha acquisito migliaia di piccole aziende produttrici di semi, così come in forma minore, Dupont, Syngenta e Bayer.
Il dibattito apre un’ulteriore parentesi sulla modificazione genetica del cibo. Queste aziende hanno costruito veri e propri imperi del cibo. La conferenza esamina i fattori chiave alla base della volatilità dei prezzi. Da un lato c’è la speculazione finanziaria, che dal 2008 in poi, ha investito sui beni agro-economici, dall’altro c’è la diminuzione degli investimenti in agricoltura, che ha portato, ad esempio, al calo delle riserve di grano dagli anni ‘70 ad oggi.
Il motivo va ricercato anche nel fatto che buona parte del cibo coltivato, come il mais, viene utilizzato per produrre energia. La stessa energia, è la forte interconnessione che esiste fra essa e la produzione di cibo è un’altra causa della volatilità dei prezzi, ma anche del rischio che facciamo correre all’ambiente. Pensiamo al biodiesel: viene ricavato dall’olio di palma e se ne incrementiamo il consumo, in Malesia, si rischia la deforestazione.
In sintesi le cause della volatilità dei prezzi sono da ricercare nella mutevolezza della domanda di cibo con un aumento del consumo di carne; il legame fra prezzi ed energia; la speculazione finanziaria sul mercato dei beni; un ridotto investimento pubblico nell’agricoltura ed i probabili effetti del cambiamento climatico.
Le evidenze portano a dedurre che l’epoca del cibo economico – che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo – ormai sta finendo e che noi siamo, infatti, ad un bivio e alla scelta tra due percorsi diversi. Una possibile strada, fortemente sostenuta dalle 17 aziende agro-alimentari al Forum Economico Mondiale, è il modello “produttivista” che ripone le speranze nelle tecnologie “panacea”, come l’ingegneria genetica per produrre più cibo.
Questo percorso non offre nessuna soluzione per ridurre il numero di affamati il cui problema è l’accessibilità alle scorte alimentari, non la mancanza di disponibilità (attualmente produciamo abbastanza cibo nel mondo per dare da mangiare a 10 miliardi di persone). Inoltre, questo percorso – che ha posto l’enfasi sull’aumento della produzione di cibi di basso costo e altamente lavorato – ha contribuito alla diffusione epidemica e globale dell’obesità (1.9 miliardi circa di persone nel mondo sono considerate sovrappeso o obese).
L’altra strada, invece, potrebbe originarsi dall’impegno per il rispetto dei diritti umani al cibo, inteso come sicurezza nutrizionale. L’enfasi in questo caso è sul bisogno e sul benessere, sostenuto da una dieta diversificata e di qualità, e non solamente basata sull’abbondanza. Questo approccio è sostenibile e riconosce che imporre una dieta sana per tutti richiederà dei cambiamenti fondamentali nel sistema alimentare, ma anche nel modo in cui noi concepiamo il diritto di mangiare cibi come la carne ad ogni pasto.
Il sistema economico globale promuove da lungo tempo politiche condizionate dalle esportazioni, che hanno creato in molti paesi dipendenza dalle importazioni e vulnerabilità alimentare. Di conseguenza, si potrebbe sostenere che i paesi dovrebbero lavorare sulla sovranità alimentare nazionale, piuttosto che affidare il controllo ai privati che non fanno che sfruttare il mercato del cibo, e concentrarsi sull’incremento della domande interna, entro i limiti ecologici imposti dai loro territori.
Creare una futura sicurezza alimentare per tutti richiederà una nuova visione, ma dovrà essere basata sull’imperativo della sostenibilità. Come ha fatto notare José Graziano da Silvia, il Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura: “Cambiare quello che mangiamo, come mangiamo e quanto mangiamo è essenziale per la sostenibilità.”
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