Nel 2014 il nostro Paese potrebbe registrare il "sito" numero 50 nella World Heritage List, a meno di non perderne alcuni per strada. "Altreconomia" evidenzia le scelte irresponsabili di chi amministra che degradano Cinque terre, Vicenza, Assisi, Urbino e Venezia. Dove -a differenza di Pompei, di cui oggi ha parlato il ministro Bray- non bastano i soldi a risolvere i problemi.

Milano. Non c'è solo Pompei: è lunga la lista del Patrimonio dell'umanità "a rischio" in Italia, spesso a causa di scelte irresponsabili di chi amministra il territorio senza considerare che l'Outstanding Value (il valore straordinario) non è immutabile.

Sono 49 i siti italiani che fanno parte della World Heritage List (su un totale di un migliaio), e potrebbero diventare 50 nel 2014, con l'ingresso di Langhe-Roero e Monferrato, ma Altreconomia pone all'attenzione dell'Unesco tutti quei casi in cui il patrimonio si va degradando: dalla Vicenza di Palladio, segnata dalla costruzione della caserma Usa Dal Molin, ad Assisi, il cui nuovo Pgt porterebbe le abitazioni fin sotto la basilica di San Francesco; dalle Cinque terre sconvolte da un'alluvione causate anche da scelte scellerate, ad Urbino, con il nuovo centro commerciale a ridosso delle mura e del centro storico. Fino a Venezia, con l'incubo Grandi navi a fianco a San Marco.

L'ingresso nella World Heritage List vale quanto una campagna di comunicazione da 2 milioni di euro, e può portare fino al 30 per cento in più di turisti grazie a un brand globale.

Un dossier di candidatura, come quello di Langhe-Roero e Monferrato, costa circa 400mila euro: ma il marchio, una volta ottenuto, va difeso, con una gestione attenta. Che in Italia, spesso, manca.

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