Sono tanti gli enti di culto diversi presenti sul territorio italiano. Il Viminale presenta un vademecum per orientarsi in un Paese multireligioso.
«Il pluralismo religioso è una precondizione necessaria del “villaggio globale” per il nostro futuro e il quesito che ci riguarda come comunità umana non è quello di chiederci quale sarà la religione “vera”, ma “che cosa è possibile fare per permettere la coesistenza pacifica sul pianeta fra le diverse religioni del pianeta”». È forse in questa sintesi, della professoressa Carmelina Chiara Canta, docente di Sociologia della Religione presso l’Università Roma Tre, la chiave di lettura di un rapporto/vademecum presentato recentemente a Roma. Il testo, curato dal Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, e alla cui scrittura hanno partecipato numerosi esperti afferenti a diverse discipline, rappresenta non solo una interessante fotografia qualitativa e quantitativa sul pluralismo religioso in Italia, ma pone l’accento sulla necessità che in uno stato per sua natura laico e la cui Costituzione garantisce libertà di culto, le due sfere, quella religiosa e quella civile, trovino modo di confrontarsi positivamente.
L’Italia nel corso del suo percorso di formazione storica è profondamente cambiata. Se – come ricorda il professor Luigi Naso, direttore del progetto – Carlo Alberto di Savoia, poco prima di firmare lo “Statuto” concedeva le “patenti di libertà alle due minoranze storiche presenti nell’allora Regno di Sardegna, i valdesi e gli ebrei, è stato lungo e di fatto non si può considerare ancora concluso il percorso che porta ad una libertà di culto parimenti riconosciuta e praticata. Molti ancora gli ostacoli, anche minimi e molte le difficoltà collegate anche alle diverse ondate migratorie. Permangono diffidenze, ostilità, ostacoli che si traducono anche in provvedimenti limitativi alla realizzazione di luoghi di culto – soprattutto verso l’articolato mondo musulmano – e alla stipula di intese che permettano di nascere, crescere e financo morire sulla base di un proprio credo, qualora le pratiche che questo prevede non siano in palese contrasto con le leggi italiane.
Un percorso fluido e articolato quindi, pieno di criticità e di elementi positivi, di realizzazione di dialogo che favorisce una reciproca interazione e di chiusure che portano alla ghettizzazione o peggio ancora ad una auto emarginazione. Ma la pluralità confessionale è ormai un aspetto strutturale della società italiana – come riaffermato più volte alla presentazione del “vademecum” – trattasi di conoscerla meglio, di valorizzarla e di saperla rapportare anche con le condizioni dei singoli territori. Il ministero, a cui sono poi demandati gran parte dei compiti in materia (anche se convenzioni e intese vengono poi stipulate direttamente fra i rappresentanti delle confessioni religiose e la presidenza del Consiglio) ha operato negli anni qualcosa di più che un semplice censimento.
Il primo dato che salta agli occhi di tutti è dirompente: nel 1997 esistevano in Italia circa 500 “enti di culto” diversi da quello cattolico, oggi ce ne sono almeno 3300. Operano sia come associazioni di fatto che come enti di culto dotati di propria personalità giuridica e sono afferenti alle diverse confessioni religiose maggiormente rappresentative. Un microcosmo immenso che spesso è narrato in maniera distorta per alimentare conflitti (guerre di civiltà) e che raramente si basa su un lavoro costante e da aggiornare perennemente di ricerca e inchiesta. L’aspetto più specificatamente religioso infatti è per il ministero, come per i realizzatori materiali del vademecum, costituisce tutto sommato una parte marginale della ricerca. Il focus è posto sui risvolti pubblici di tanta varietà di culto, in termini di organizzazione della vita sociale e di regole che determinano i comportamenti di intere comunità.
La questione è delicata e complessa, in particolare rispetto alla religione musulmana. A fronte di reciproci pregiudizi e difficoltà di costruire stabili relazioni nel paese ospitante, stanno emergendo le spinte propositive delle nuove generazioni che cercano, con i propri mezzi e spesso in assenza di adeguato sostegno, di far convivere il proprio credo e i propri principi con la società in cui sono nati e cresciuti, il suo sistema valoriale e le sue contraddizioni. Un territorio vasto e che potrebbe riservare interessanti sorprese in tema di costruzioni di nuove e meno statiche identità.
Lo studio sottolinea che “l’incidenza dei cristiani, superando la metà del totale, mostra quanto sia improprio in Italia agitare lo spettro di un’invasione di persone di diversa religione”: mentre i musulmani sono un terzo (32,9%) e i fedeli di tradizioni religiose orientali (induisti, buddhisti e altri) poco più di un ventesimo (5,9%).
Questo variegato panorama è lo specchio dello spiccato policentrismo che caratterizza le origini nazionali dei migranti presenti in Italia, che nonostante il recente protagonismo assunto dall’area est-europea, vengono da tutti i continenti e da pressoché tutti i Paesi del mondo.
Per venire incontro alle esigenze di dialogo tra religioni diverse è stato realizzato il vademecum Religioni, dialogo, integrazione: un testo – lo presentano gli autori – che vuole essere uno “strumento utile per interpretare le criticità evidenziate sul territorio, promuovere la capacità di incontro e di scambio tra diversità e a migliorare il dialogo interreligioso e interculturale”. L’iniziativa punta anche a diffondere il tema della libertà di religione e di culto e offrire un quadro del pluralismo religioso in Italia, consentendo una lettura ed una migliore comprensione del fenomeno.
Sotto il profilo istituzionale, il progetto ha rivitalizzato la funzione dei Consigli territoriali, soprattutto per quanto riguarda i Tavoli di dialogo interreligioso. È infatti nei singoli Comuni che la costruzione di spazi pubblici di discussione e partecipazione ha reso possibili pratiche positive. Si sono scelte 6 prefetture a campione: Torino, Bergamo, Reggio Emilia, Perugia, Caserta e Catania e attraverso i Consigli Territoriali è stato promosso l’incontro fra i rappresentanti delle diverse comunità religiose e i rappresentanti delle istituzioni locali. Sono stati incontri spesso molto partecipati in cui sono emerse problematicità specifiche a cui trovare soluzioni: dal rapporto con le strutture sanitarie alle modalità di visita presso le strutture di detenzione, dalla celebrazione di riti fondamentali come la nascita e il matrimonio fino alle modalità con cui attrezzare aree cimiteriali specifiche per la sepoltura dei defunti, in conformità tanto con i dettami religiosi quanto con le esigenze che disciplinano l’inumazione. Insomma, un dialogo a tutto tondo che potrebbe essere anche foriero di prospettive pratiche concrete tese a migliorare tanto la vita dei cittadini migranti quanto la percezione che si ha di loro fra gli autoctoni.
Una operazione interessante perché superando nei fatti esercizi onnicomprensivi come fu la “Carta dei Valori” – principi a cui attenersi per veder rispettata la propria cultura – o i “Patti di integrazione” che di fatto hanno anche istituzionalizzato forme di subalternità verso lo Stato ospitante. Un piccolo passo avanti i cui risultati si potranno vedere in una prospettiva di medio e lungo periodo. Ma il testo del vademecum, che andrebbe tradotto quantomeno nelle lingue di maggior diffusione fra i cittadini e le cittadine migranti, è anche una utile “cassetta degli attrezzi” comprendente anche un glossario, l’elenco delle fonti legislative e dei passaggi storici compiuti o dichiarati da questo Paese, insomma una vera e propria bussola con cui orientare non solo il proprio credo ma anche il ruolo che si decide di avere in una società in cambiamento.
Stefano Galieni