Con “la cultura non si mangia” affermava l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, dimostrando così di avere una visione di corto respiro. È proprio senza cultura che un Paese (fatto di donne e uomini riuniti in una collettività evoluta) muore. A ricordarcelo una volta di più sono stati oggi la Fondazione Symbola e Unioncamere, che hanno pesato la ricchezza prodotta in Italia dalla cultura, per poi riportarla nello studio Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi.
di Federico Gasperini
In base ai dati riportati nel report, la cultura frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 75,5 miliardi di euro, e dà lavoro a quasi un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati del Paese. E allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto (ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive) a tutta la ‘filiera della cultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura come il turismo legato alle città d’arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15,3% del totale dell’economia nazionale.
Quindi nonostante la crisi e una politica poco lungimirante che ha risposto con tagli trasversali fatti ad occhi bendati, la cultura dimostra ancora una volta di essere uno dei motori primari per mantenere il Paese a galla. Figuriamoci se poi venisse sostenuta come meriterebbe. «Nel mondo c’è una domanda di qualità che l’Italia sa intercettare – ha dichiarato Ermete Realacci, presidente di Symbola – Fondazione per le qualità italiane – Non a caso quando l’Italia fa l’Italia e scommette su innovazione, ricerca e green economy e le incrocia con bellezza, qualità, legame con i territori, con la forza del made in Italy, è un Paese forte capace di competere sui mercati internazionali. Proprio l’intreccio tra cultura e bellezza è una delle radici più profonde e feconde della nostra identità e della competitività della nostra economia. Il rapporto presentato oggi sta qui a dimostrarlo: l’industria culturale rappresenta, già oggi, parte significativa della produzione di ricchezza e dell’occupazione in Italia. Per affrontare la crisi e guardare al futuro l’Italia deve fare l’Italia. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida».
Come è spiegato nel rapporto elaborato con la collaborazione e il sostegno dell’assessorato alla cultura della Regione Marche, per Symbola e Unioncamere la cultura non si tocca: non per un aristocratico riflesso condizionato che guarda al passato, ma perché rappresenta, con tutte le sue sfaccettature, la parte più innovativa, dinamica e reattiva del nostro sistema produttivo. «Il sistema produttivo culturale rappresenta la vera ‘filiera territoriale’: quella che produce all’interno del territorio nazionale e moltiplica benessere per i territori, secondo una logica di rete che coinvolge tanti piccoli e medi imprenditori, anche del mondo del non-profit. La sua capacità anticiclica - ha sottolineato Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – deve far capire dove occorre oggi concentrare gli sforzi di politica economica e dove (a livello nazionale e locale) è necessario incentivare investimenti che ottengano effetti moltiplicativi certi sull’occupazione, sui consumi, sul turismo e a vantaggio delle esportazioni di beni e servizi».
Nel dettaglio i numeri riportati nel rapporto spiegano come non ci sia nessuna ragione, neppure sotto il profilo strettamente economico, di tagliare la cultura sacrificandola appunto sull’altare del debito pubblico. Confrontando la performance ottenuta dal settore cultura nel 2012 con quella del 2011, infatti, la flessione di valore aggiunto è contenuta allo -0,3% rispetto alllo -0,9% del resto dell’economia. Tenuta e reattività superiore alla media sono ancora più evidenti per la dinamica occupazionale delle imprese culturali: rispetto al 2011 gli occupati dal sistema cultura sono cresciuti nel 2012 dello 0,5% a fronte del -0,3% del totale dell’economia.
Idem dicasi considerando la variazione del numero di imprese: nel 2012, il sistema produttivo culturale ha visto crescere del 3,3% le proprie unità, mentre il resto del tessuto produttivo del Paese rimaneva sostanzialmente immobile. Inoltre il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2012 ha registrato un attivo record di 22,7 miliardi di euro. Lo scorso anno l’export di cultura ha sfondato i 39,4 miliardi di euro, equivalenti al 10,1% del dell’export complessivo nazionale, mentre l’import del comparto si è attestato sui 16,7 miliardi di euro e costituisce il 4,4% del totale. La quasi totalità delle esportazioni del sistema produttivo culturale provengono dalle industrie creative, settore che veicola la ricchezza dei nostri contenuti culturali attraverso l’artigianato e il made in Italy. Ad oggi, il solo settore incide per il 9,3% del totale esportazioni nazionali. In termini di dinamica, negli ultimi tre anni si è assistito a una crescita esplosiva delle esportazioni culturali: +11,5% medio annuo nel triennio 2009-2011 e +3,4% nel 2012. Di segno opposto, invece, la dinamica delle importazioni.
Poi c’è la connessione cultura-turismo: se nel 2012 la spesa turistica ha toccato i 72,2 miliardi di euro, ben 26,4 di essi sono stati attivati dalle industrie culturali.
Nel report non manca una classifica, dove – per quanto riguarda le Regioni, in testa per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia – ci sono quattro realtà in cui il valore del comparto supera il 6%: Lazio (prima in classifica con il 6,8%), Marche (6,4%), Lombardia e Veneto (entrambe a quota 6,3%). Seguono Piemonte e Friuli Venezia Giulia a quota 5,8%, quindi Toscana al 5,2%, il Trentino Alto Adige al 5%, l’Abruzzo al 4,7% e l’Emilia Romagna al 4,6%. Mentre per il Lazio e la Lombardia sono le industrie culturali a prevalere, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia la classifica regionale subisce qualche variazione: il Veneto è in testa a quota 7,1%, seguito da Marche (7%), Friuli Venezia Giulia (6,4%), Lombardia, Lazio e Toscana (tutte a 6,3%), Piemonte (6 %), Valle d’Aosta (5,8%).
Per quanto riguarda le province è invece Arezzo ad indossare la “maglia rosa”, sia nella classifica che tiene conto dell’incidenza del valore aggiunto sia in quella dell’occupazione del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia.
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