Teologi e filosofi a confronto sul significato della recessione che ha colpito in senso spirituale; una soluzione potrebbe arrivare dalle coop e dalla solidarietà. Milano. «La vera natura della crisi che stiamo vivendo, prima ancora che economica e finanziaria, è di tipo filosofico-spirituale. Dopo decenni di fede cieca nella libertà dell’io come motore della crescita, oggi l’Occidente comincia a interrogarsi sui limiti di questo approccio». È la convinzione di Vito Mancuso, docente di Storia delle dottrine teologiche all’Università di Padova, nonché autore di numerose pubblicazioni sui temi della religione, che hanno suscitato ampio dibattito. Il teologo ha espresso il concetto nel corso della tavola rotonda “Le persone e le cose nelle economie del futuro”, organizzata nei giorni scorsi da Conad a Bologna. Un appuntamento che ha visto confrontarsi esperti di diverse materie e orientamenti sul futuro dei consumi e sulla necessità di riportare la persona al centro dell’economia. Un tema che da sempre appartiene alla tradizione cattolica, all’economia civile, al movimento cooperativo e al terzo settore in generale, ma che in una fase come questa di recessione prolungata viene rivalutato anche in altri ambiti sociali ed economici.

Nella convinzione che da una crisi sistemica si possa uscire solo rivedendo a fondo il modello di crescita finora adottato, e che evidentemente non è più in grado di dare risposte adeguate. Per Mancuso, ripartire da zero, riscrivendo le priorità non è un miraggio: «Dovremmo avere tutti la consapevolezza che, allo stato attuale delle cose, non abbiamo un grande futuro davanti a noi», è la sua convinzione. «Il termine societas sta a indicare un insieme di soci, ma noi abbiamo smesso da tempo di guardare all’interesse d’insieme. Cambiare in maniera netta non è certo facile, ma non abbiamo alternative». Il suo ragionamento, pur con diversi accenti, è stato condiviso dagli altri relatori, a cominciare da Vincenzo Perrone, docente di Organizzazione aziendale all’Università Bocconi di Milano. «Uno dei temi più dibattuti in ambito aziendale oggi è il senso di identità e di identificazione », ha spiegato. Un cambio di paradigma rispetto al passato, che coinvolge aspetti sociali, come le ragioni dello stare insieme e del condividere gli obiettivi. Allargando l’orizzonte della riflessione, Perrone ha tenuto a ricordare che «l’Italia del Dopoguerra è riuscita a centrare un obiettivo difficilissimo, passando dalla periferia al centro del mondo». Anche se il risultato è stato ottenuto senza che si sia mai formato uno spirito davvero comunitario, nazionale. «Ce l’abbiamo soprattutto facendo leva sulla forza dell’io, grazie alle migliaia di “fabbrichette” sorte come funghi nel territorio».

Un modello che ha mostrato limiti evidenti con l’avvento della globalizzazione, mettendo in luce anche i vizi dell’esasperato individualismo, «a cominciare dalla forte spinta a sviare dalle regole», secondo l’economista. Detto delle ragioni alla base della crisi, da dove ripartire? Per Perrone «dobbiamo riuscire a compiere quel salto concettuale che ci è sempre mancato, ma che ora paradossalmente è più facile del passato considerato che siamo finiti in un vicolo cieco». Per l’esperto «dovremmo cominciare con il denigrarci meno e sottolineare con forza le ragioni che ci tengono insieme come italiani e che ci hanno resi grandi». Secondo Vanni Codeluppi, docente di Sociologia all’Università di Modena e Reggio Emilia, «l’eccesso di individualismo che ha pervaso la nostra società per decenni è stato esasperato dalla comunicazione pubblicitaria». Un ambito che l’esperto non critica in sé, ma per i suoi limiti nel considerare «la persona come qualcosa di diverso e più complesso rispetto all’individuo-consumatore perché si tratta di un concetto che abbraccia l’interiorità degli uomini e delle donne, non solo il modo in cui si presentano all’esterno e i successi che riescono a conseguire ».

Proprio la focalizzazione sull’individuo ha trovato per molto tempo uno sfogo nei consumi, «che offrono identità precostituite, a cominciare dal linguaggio delle marche ». Il modello è sembrato vincente per molto tempo, fino a che non è arrivata la crisi con la sua forza dirompente. «Se le certezze del passato sono crollate, nuove opportunità si stanno affacciando», è la convinzione di Codeluppi, per il quale il boom del Web 2.0 «è una riscoperta dell’importanza della dimensione sociale, della condivisione». Una risposta a questa riscoperta del senso di comunità, secondo Paolo Cattabiani, presidente di Legacoop Emilia-Romagna, può arrivare proprio dalle esperienze del mondo cooperativo. «Nasciamo da braccianti e muratori che, a un certo punto, hanno deciso di mettersi assieme, di collaborare perché hanno capito che quella era l’unica strada per non morire di fame». Un rimando storico usato da Cattabiano per sottolinea come per questa strada sia possibile arrivare a un «io, che si responsabilizza e trova nella cooperativa un noi in grado di soddisfare una parte dei suoi bisogni».

Una comunità con la quale fare una parte del percorso, senza limiti alle proprie peculiarità personali. «Il mondo della cooperazione nasce dal principio della libertà di adesione, dalla convinzione dei singoli che quella strada avrebbe consentito un percorso di riscatto». Principi alla base del mutualismo sin dal suo principio, e che si ritrova anche oggi. Per Cattabiani «la cooperativa è l’equilibrio più alto tra aspirazioni dell’io e salvaguardia degli interessi comuni», argomentando questo concetto con un esempio: «Se il socio chiede troppo per sé, la cooperativa non ha le risorse per crescere. Al contrario, se il sistema nel suo insieme trascura l’interesse dei singoli soci, questi ultimi finiranno con il cercare alternative ». In un’epoca che vede gli Stati ridurre la loro sfera di intervento nell’ambito del welfare, a fronte della necessità di limitare la spesa pubblica, secondo il presidente di Legacoop Emilia-Romagna, è necessario «un impegno rafforzato da parte dei soggetti intermedi che animano la società». In questo senso va letto lo sforzo dell’associazione per creare una mutua di cittadini, in grado di coprire quegli ambiti dell’assistenza sociale lasciati scoperti dallo Stato. (http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/06/24/news/economia_e_societ_la_crisi_unica_ma_la_cooperazione_pu_salvarci-61727715/)

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