Sono tanti i fattori scatenanti della crisi sociale in Brasile, che si nascondono dietro alla rivolta di questi giorni. La Confederations Cup è in pieno svolgimento e nelle intenzioni degli organizzatori c'era naturalmente la volontà di sfruttare questo momento di speciale visibilità internazionale. Non è la prima volta che accade in occasione della preparazione di un grande evento sportivo. Le contestazioni alle caratteristiche dei grandi eventi sportivi (e non solo) sono ormai all'ordine del giorno da qualche anno. Certamente sono causate dall'attivazione delle realtà della società civile che si organizzano per mettere in luce le contraddizioni che questi eventi creano, per la sproporzione delle spese per la realizzazione delle megainfrastrutture che spesso hanno anche il brutto vizio di essere destinate al disuso. Anche per questo la cosa si fa stridente e risulta ancor più insopportabile. Soprattutto se il luogo dove ciò si materializza è un paese in via di sviluppo o emergente come nel caso dell'ultima edizione della Coppa del Mondo in Sud Africa e la prossima in Brasile.
Come ricorda lo spot che sta facendo il giro del mondo messo online ancora prima delle rivolte di queste ore, da una giovane videomaker brasiliana, ciò che fa indignare l'opinione pubblica è il contrasto fra la campagna di promozione dei grandi eventi quali portatori naturali di benessere e la contestuale condizione di degrado in cui parte consistente della popolazione più povera continua a vivere in Brasile. Ci si chiede: perché una spesa così esorbitante per infrastrutture per il calcio o altre discipline sportive quando sarebbe necessario investire sulla sanità pubblica per fare uscire dalla miseria tanti e tanti cittadini?
E' innegabile anche la strumentalizzazione da parte delle forze dell'opposizione brasiliana che trova argomenti per attaccare il Governo del PT, il Partito dei lavoratori. Resta il fatto che seppure il governo di Lula e della attuale Presidente, Dima Rousseff, abbiano lavorato per dare al Brasile un'opportunità di riscatto democratico e sociale dopo decenni di regime che tutto aveva meno che l'interesse a fare uscire dalla povertà la gente - anzi! -, attraverso politiche sociali ed economiche volte a dare al paese regole e principi moderni di diritto e soprattutto lavoro, una parte importante della popolazione del Brasile ancora soffre della mancanza di servizi pubblici di base. La salute e la scuola, prima di tutto.
Per di più per sostenere le spese di adeguamento degli impianti per le Olimpiadi del 2016 e dei Mondiali di Calcio del 2014, o la costruzione di nuove strutture, sono stati decisi aumenti dei costi per il trasporto ed altri servizi pubblici che ricadono interamente sulla popolazione più povera. Il solito paradosso: per fare la fortuna di pochi che beneficeranno delle entrate derivanti dalle grandi manifestazioni sportive, si punta a fare cassa proprio in quei settori che sono sulle spalle dei meno abbienti. Non sono certo i benestanti brasiliani che prendono il bus per andare a lavorare...
Gli effetti sociali collaterali dei grandi eventi sportivi messi in luce però dalle organizzazioni della società civile in Sud Africa come a Londra, non riguardano solo la discutibile costruzione di infrastrutture spesso finalizzate ad ospitare gli eventi stessi e poi non più sfruttate per il bene delle popolazioni locali. Sono stati anche altri i fattori di impatto negativo ad essere denunciati e contrastati da movimenti e associazioni. Tra queste la campagna promossa dall'Uisp in occasione dei Mondiali di Calcio 2010, che aveva al centro la lotta al fenomeno della tratta delle donne ed in particolare ragazze minori, quando non bambine, ai fini dello sfruttamento della prostituzione forzata. Infatti purtroppo e da sempre - già nell'antica Grecia - si usa "festeggiare una vittoria con una bella ragazza".
Nel 2010 La campagna dell'Uisp e Peace Games “Se la mia squadra vince, non festeggio con una schiava”, realizzata insieme alla sezione Mozambicana della WLSA (Women and Low in Southern Africa) aveva tutto meno che l'intenzione di promuovere una predica moralizzatrice, bensì voleva farsi carico di una questione sociale complessa in un contesto difficile come quello dei confini tra Sud Africa e Mozambico dove la tratta viene denunciata e combattuta da diversi attori della società civile in collaborazione con le istituzioni internazionali come l'Oim, nazionali e regionali.
Lo sport dovrebbe essere sinonimo di benessere e di giustizia per tutti in un mondo più giusto per uomini e donne. Al di la’ del nobile impegno di realtà della società civile, resta però forte la domanda sulla responsabilità delle istituzioni governative e sportive come la Fifa e il Cio, che dovrebbero riuscire a condizionare positivamente questi eventi, al fine di garantire il loro effetto sul benessere delle popolazioni ospitanti.
Raffaella Chiodo, Peace Games Uisp