La crisi economica che stiamo vivendo è caratterizzata da una generale quanto generica lamentatio, che ci trova tutti vittime e nessuno colpevole. Ogni rivendicazione, presa singolarmente sembra ragionevole. I commercianti si lamentano del calo delle vendite e considerano inaccettabile l’aumento dell’IVA che facendo aumentare i prezzi acuirebbe il calo dei consumi. Il settore edilizio in crisi chiede la cancellazione delle imposte sulla casa, la cui copertura sarebbe proprio l’aumento dell’IVA. Ma i Comuni senza IMU non riescono a coprire nemmeno i costi della manutenzione ordinaria delle strade… e i cittadini si lamentano, i consumi calano e di conseguenza cala la produzione e aumenta la disoccupazione. Questo coro scoordinato di rivendicazioni in conflitto fra loro rende evidente quanto siano profonde e poco comprese le ragioni di questa crisi. Il sistema economico mondiale sembra drammaticamente imbrigliato nelle sue contraddizioni.

Le analisi macroeconomiche dipingono scenari di progressivo declino della disponibilità delle risorse su cui si fonda l’economia, in primis il petrolio. L’invocata crescita dei consumi sembra destinata a produrre, a fronte di un temporaneo sollievo economico, un acuirsi della crisi di disponibilità delle risorse. Parallelamente aumenta nella comunità scientifica l’allarme sulle crisi ecologiche planetarie, prima fra tutte la crisi climatica in corso che si svilupperà con crescente vigore nell’arco di questo secolo. Tutto lascia pensare che il nostro modello economico abbia esaurito le sue potenzialità di produzione di benessere, che ormai abbiamo esplorato e sfruttato ogni angolo dello scenario in cui da secoli sviluppiamo le nostre attività e poco altro possiamo trarne per continuare a chiamare la nostra azione progresso. Questo lo viviamo come un dramma. I principali attori dell’economia e della politica continuano ostinatamente ed illogicamente a credere che ci siano ancora pozzi da sfruttare ed opportunità da cogliere in quello che tutti consideriamo l’unico mondo possibile e, come dimostra l’inconsistenza operativa delle trattative internazionali sul clima, preferiscono ignorare gli allarmi della comunità scientifica.

Jorgen Randers, fra i ricercatori autori del famoso rapporto sui Limiti della crescita che tanto scalpore suscitò quarant’anni fa in un mondo in piena euforia consumista, nel nuovo Rapporto al Club di Roma, 2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni, esordisce con una amara considerazione: «Ora, a sessantasei anni, mi accorgo che è stato inutile. Non perché il futuro globale sia roseo e senza problemi. I miei timori sono stati vani perché non hanno avuto un grande impatto su quanto è successo nel lungo periodo trascorso da quando ho cominciato a preoccuparmi».

Ma allora a cosa serve tanta scienza che ci ha portato, con una buone dose di presunzione, ad autodefinirci homo sapiens sapiens? Dobbiamo forse correggere il nostro nome in homo intellegens, cioè capace di comprendere ma non di quell’agire di conseguenza che lo renderebbe sapiens? Infatti. Randers rinuncia agli scenari proattivi che si addicono a un sapiente, e dipinge solo scenari reattivi prevedendo la nostra capacità di applicare la scienza e la tecnica solo per riparare i danni dopo che sono avvenuti. Purtroppo la previsione porta a scenari di enormi difficoltà e sofferenze dalle quali riusciremo faticosamente a uscire solo nella seconda metà di questo secolo, con l’affermazione di una economia pienamente sostenibile. Quindi, per non voler cambiare oggi, stiamo consapevolmente bruciando il futuro di due generazioni.

Eppure, «il principio della condivisione dei beni della Terra e dell’equa distribuzione del benessere deve essere fondamento imprescindibile dell’economia. Non deve più accadere che organismi privati, agenzie di rating al servizio degli interessi speculativi di chi costruisce il suo benessere scommettendo sul debito e sulla debolezza altrui, rastrellando ricchezze senza contribuire in nulla al progresso dell’umanità, decidano sulle sorti di interi paesi e sulla vita di centinaia di milioni di esseri umani. Le decisioni essenziali della politica devono avere la più ampia partecipazione, soprattutto quando riguardano la gestione di beni essenziali come il cibo, l’acqua, l’istruzione, la salute, l’energia, l’ambiente e non possono rispondere esclusivamente alle regole del profitto. La gravitaà dell’attuale situazione che vede intrecciarsi sullo scenario globale una crisi finanziaria, una crisi sociale e una crisi ecologica, richiede una svolta culturale e morale per costruire un futuro migliore» (da Andrea Masullo, Qualità vs Quantità: dalla decrescita a una nuova economia, ed. ORME,2013).

E’ necessario riportare la politica alla sua responsabilità di guida ed orientamento per mantenere salda, nelle decisioni economiche, la centralità dell’uomo e la salvaguardia dell’ambiente nell’interesse del bene comune.

di Andrea Masullo

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