Il territorio come soggetto progettuale
Le riforme in materia di lavoro, istruzione, formazione e di servizi
sociali, attivate negli ultimi anni contestualmente alla più recente
spending review, stanno producendo moltissimi cambiamenti nell’ampio
campo dei “servizi alla persona”. Tali cambiamenti interessano tutti i
livelli in cui si articolano le politiche pubbliche: finanziamento,
analisi dei bisogni e pianificazione, organizzazione ed erogazione dei
servizi, valutazione. L’introduzione nel linguaggio degli addetti ai
lavori di termini quali “welfare community”, “nuovo welfare”, “big
welfare” e di molti altri, sta proprio a significare che siamo in una
fase di trasformazione dove attualmente è possibile osservare il
processo, peraltro in modo parziale, ma non i risultati, che allo stato
attuale sono solo immaginabili non senza difficoltà (1).
L’evoluzione socio-economica, ma anche lo stesso dispiegarsi di questo
stesso processo trasformativo, fanno nascere nuovi bisogni per far
fronte ai quali chi ha il compito di erogare servizi non deve limitarsi a
ragionare in termini tradizionali di “innovazione di prodotto/servizio
e/o di processo”, ma deve spingersi oltre per ridefinire la mission e
adottare approcci di policy innovation.
In questo contesto dove le tradizionali distinzioni di ruoli tra
pubblico e privato, tra fornitore e committente, tra profit e non
profit, tra mercato e terzo settore, tra erogatore e utente, vengono
rivisitate in una logica contestuale processuale, il lavoro in rete e/o
di rete acquisisce una nuova connotazione innovativa che testimonia sia
l’emergere del territorio-comunità come soggetto progettuale, sia la
valorizzazione del capitale sociale attraverso il coinvolgimento di
sempre più attori nella costruzione delle stesse policy locali e
settoriali.
Il campo dei servizi sociali è forse quello dove tali processi si
manifestano con maggiore intensità, anche perché in termini di
progettualità diffusa i soggetti del no profit hanno maturato una certa
esperienza, grazie anche alla particolare abilità nello sviluppare
rapporti interattivi con il capitale sociale del territorio.
Oggi ancor di più le mutate condizioni dei nuovi bisogni stanno
portando i soggetti non profit a dover attingere a risorse del
territorio e, quindi, a ricercare apporti esterni sviluppando
collaborazioni e partnership con vari soggetti. Questa tendenza è
ulteriormente evidente se si pensa che ormai i servizi sociali non si
limitano a dare risposta a un bisogno in maniera isolata, ma puntano a
promuovere soluzioni integrate e a sostenere la persona nella sua
totalità. Ci si rende sempre più conto che la risposta al bisogno non
può essere solo il frutto di un’attività svolta in un “luogo” specifico,
ma nell’intero territorio di riferimento.
L’attivazione di reti tra diversi attori territoriali sta diventando
infatti un paradigma per la realizzazione delle politiche pubbliche e
l’erogazione di servizi innovativi. Ciò è dovuto, oltre al processo di
decentramento politico-amministrativo e di applicazione del principio
della sussidiarietà verticale e orizzontale, anche alla dinamicità e
alla multicausalità dei bisogni e dei fenomeni socio-economici, che
rendono necessaria la definizione di interventi sempre più complessi,
che a loro volta richiedono competenze e risorse difficilmente
disponibili da un singolo attore.
Reti e networking
All’interno di questo scenario si assiste quindi ad una proliferazione
delle varie forme di collaborazione attraverso cui gli attori sociali
cercano di elaborare e progettare soluzioni che, integrando i singoli
“saperi” e “pratiche”, sono in grado di offrire risposte articolate ai
bisogni del territorio. Il termine più abituale per connotare tali forme
organizzative è quello di “ rete”.
Ma che cosa è la rete? Tutte le soluzioni che implicano una
collaborazione tra i diversi attori costituiscono delle reti? Non esiste
una risposta facile a queste domande, teorica o pratica: si tende, in
linea molto generale, a chiamare rete ogni forma di interazione più o
meno ripetuta e duratura tra diversi attori, dando spesso più peso alla
forma e meno ai contenuti delle relazioni.
E’ opportuno tuttavia distinguere tra “rete” e “lavoro in rete”, in
quanto quest’ultimo include anche le forme collaborative non ancora
consolidate e strutturate. Il concetto di networking, definibile come
l’azione di più soggetti finalizzata a tessere relazioni e ad attivare
sinergie per raggiungere obiettivi comuni, può essere quello più adatto a
esprimere la fluidità delle forme organizzative oggi in atto.
Il networking indica quindi un processo di sviluppo e di implementazione
di relazioni interorganizzative che può evolvere in vari modi: reti
stabili, nuove aziende, progetti condivisi, fusioni di organizzazioni,
ecc. Allo stesso tempo riesce a cogliere la complessità delle relazioni
collaborative nell’ambito del nuovo welfare e a evidenziare la capacità
degli attori di tessere relazioni e connessioni, formali e informali,
superando i tradizionali vincoli del tempo e dello spazio al fine di
perseguire risultati condivisi.
Verso un modello organizzativo del networking
Sia la rete che il networking non sono “artefatti naturali”, ma processi
sociali, all’attivazione dei quali partecipano attori con proprie
strategie e interessi. Il networking è uno strumento che può consentire
di “fare cose nuove” o di raggiungere maggiore efficacia ed efficienza
in quelle che si stanno già facendo. Ma, allo stesso tempo, può essere
un modo per perdere tempo e quindi diventare per contro inefficace e
inefficiente, quando i singoli soggetti non sanno o non vogliono
lavorare in rete, oppure quando non esiste un’organizzazione in grado di
coordinare e facilitare il loro lavoro.
Le interazioni fra istituzioni che originano il networking richiedono
l’esistenza di relazioni personali; queste ultime, per essere
funzionali, devono essere regolate da un quadro organizzativo definito
che permettano alle persone di lavorare in maniera più efficace per
portare a termine gli obiettivi istituzionali della rete.
L’espansione di pratiche del networking, pur essendo una parte
integrante del nuovo welfare, non è stata finora accompagnata né da
azioni di sostegno da parte degli enti pubblici, né dallo sviluppo di
soddisfacenti soluzioni organizzative e gestionali.
Inoltre, mentre molti considerano la rete come strumento di governance
di una policy o di un territorio, pochi si preoccupano della governance
delle reti. Anche per colmare questo vuoto Confinionline vuole
promuovere un modello di governance delle reti con il duplice scopo di
sostenere il “networking” dei singoli attori e di promuoverlo come
strumento di innovazione delle politiche territoriali.
Lontani del credere che esistano soluzioni e ricette preconfezionate
capaci di risolvere tutti i problemi in ogni situazione, si propone un
modello organizzativo delle reti con un approccio situazionale, che
permetta di cogliere la complessità delle situazioni e, quindi, di
proporre un assetto in grado di adattarsi di volta in volta alle
esigenze dei diversi contesti in cui si sviluppa il networking e la
rete.
Theofanis Vervelacis. Sociologo, formatore e consulente in organizzazione e gestione strategica dei servizi. Collaboratore di ConfiniOnline.
Note:
1 Nel testo, pur essendo consapevoli
delle diversità concettuali e spesso anche culturali e ideologiche che
motivano le diverse accezioni, useremo il termine “nuovo welfare” in
senso lato, per indicare la trasformazione dell’attuale welfare state e
il delinearsi di un uno nuovo.