Non c’è dubbio che i concetti di impresa sociale e di innovazione sociale sono contigui e almeno in parte sovrapponibili. Ciò non significa però che l’uno (quello di innovazione) includa anche l’altro (quello di impresa) come sostengono, ad esempio, diversi studiosi e come sembra adombrare la stessa Commissione Europea nel testo della Social Business Initiative. E in particolare non significa che, come sostengono gli studiosi che si riconoscono nella “social innovation school”, che quello di innovazione sociale sia un concetto più generale e più utile per cogliere una serie di fenomeni emergenti, tra cui quello dell’imprenditorialità sociale.
Le ragioni a favore della opportunità di mantenere i due concetti separati sono almeno due. La prima discende dalla stessa definizione di innovazione sociale volta a cogliere la capacità di inventare nuovi prodotti (servizi soprattutto) ad elevato impatto sociale o nuovi processi produttivi di servizi già esistenti che ne riducono i costi e ne aumentano la qualità. Così definita l’innovazione sociale può essere originata non solo da qualsiasi istituzione pubblica o privata, organizzata o meno in forma di impresa, anche con finalità di profitto, ma anche più semplicemente da gruppi informali di cittadini. E’ quindi chiaro che l’innovazione sociale non è monopolio dell’impresa sociale. La seconda ragione va invece ricercata nel concetto stesso di impresa che non necessariamente deve essere o è utile che sia innovativa. L’impresa sociale può nascere, prosperare e svolgere pienamente la propria funzione sociale anche semplicemente riproponendo servizi e modelli produttivi e organizzativi già collaudati da altre imprese, se in questo modo risponde ad una domanda insoddisfatta. Oppure riprendendo e dando un’organizzazione stabile a qualche innovazione introdotta da gruppi informali di cittadini, come è stato per la cooperazione sociale all’inizio del suo sviluppo. Guardando all’innovazione dal lato dell’impresa si potrebbe addirittura affermare che se un’innovazione non trova imitatori vuol dire che ha ben poca rilevanza sociale.
Se tutto ciò è vero resta da chiedersi perché si tende sempre più spesso a far coincidere i due concetti e a sottolineare, come fa la Commissione Europea, che “di norma” le imprese sociali sono anche portatrici di innovazione sociale. Anche a questa domanda si possono dare due risposte. Quella probabilmente più contingente è che negli ultimi trent’anni è rallentata la capacità di innovazione delle istituzioni pubbliche, soprattutto nei servizi di interesse generale ed in primis nei servizi sociali, cui hanno iniziato a reagire gruppi di cittadini che si sono sempre più spesso organizzati in forma di impresa sociale. Non a caso l’impresa sociale si è sviluppata prima e con più intensità in paesi come l’Italia, caratterizzati da amministrazioni pubbliche burocratiche e con risorse libere sempre più limitate per sperimentare servizi innovativi.
La seconda ragione, più strutturale, va ricercata nel fatto che l’impresa sociale è in sé una innovazione sociale, in quanto ha introdotto nel sistema istituzionale che si era andato consolidando nel corso del ‘900, due importanti novità. Innanzitutto ha dimostrato che i servizi di interesse generale – sociali, educativi, culturali, sanitari, ecc. – non necessariamente devono essere “erogati” da enti pubblici o assimilati – cioè definiti nella quantità e nella qualità solo in base alle risorse disponibili – ma possono essere “prodotti” in forma imprenditoriale, cioè a partire dai bisogni e cercando di reperire le risorse necessarie. La seconda innovazione è costituita dalla radicale modifica – peraltro ancora da metabolizzare – nel modo di concepire l’impresa e il suo ruolo economico e sociale: da organizzazione con l’esclusiva finalità di garantire ai proprietari il massimo profitto (o più semplicemente con finalità speculativa, come sostiene il nostro codice civile) a meccanismo di coordinamento di risorse umane e materiali che può perseguire, oltre al profitto, anche, soprattutto o soltanto finalità di carattere sociale, con il solo vincolo di sopravvivenza (cioè di pareggio di bilancio).
Sostenere che l’impresa sociale costituisce di per sé una innovazione sociale aggiunge al dibattito e alla stessa definizione di innovazione sociale un elemento nuovo. Dimostra infatti che l’innovazione sociale non riguarda solo i prodotti o i processi, ma anche le forme istituzionali e, ampliando ulteriormente l’analisi, le relazioni tra le stesse istituzioni, in particolare tra quelle pubbliche e le imprese sociali che non necessariamente devono essere regolate come quelle tra pubbliche amministrazioni e imprese a scopo di lucro, come sembrano voler continuare a fare sia l’Unione Europea che molti stati membri in nome di un mal definito principio di concorrenza.
Impresa sociale e innovazione sociale si confermano quindi due concetti fertili, su cui si può e si deve lavorare ancora molto. Ma affinché la riflessione sia veramente fruttuosa è molto meglio non mescolarli in un unico calderone.
Carlo Borzaga