River: un ‘bancomat’ alimentato ad energia solare assicura l’accesso all’acqua potabile anche nelle zone più remote dell’India.

Pensando alla vita rurale in India, fra le prime immagini che ci vengono in mente c’è sicuramente quella delle donne che portano sulle spalle l’immenso peso dell’acqua potabile che si sono procurate per le loro famiglie.

Nei paesini che non sono coperti dalla rete idrica, infatti, sono solitamente le donne a fare un faticoso pellegrinaggio quotidiano per portare a casa l’acqua. Secondo l’UNICEF, queste donne sono più degli altri esposte ai rischi di aggressioni, stupri e rapine, ma fino a qualche anno fa le possibilità di liberarle da questo onere erano scarse. Ma nel 2008 è arrivata Sarvajal, un’impresa che ha saputo unire sostenibilità e high-tech con l’introduzione sul mercato indiano di un distributore automatico di acqua potabile alimentato ad energia solare.

La Sarvajal -che in sanscrito significa ‘acqua per tutti’- ha deciso di affrontare la grave mancanza di fornitura idrica con un modello decentrato e basato sul mercato, creando un franchising delle attività di fornitura d’acqua potabile. Nelle aree più remote, l’azienda offre ai più intraprendenti l’opportunità di gestire un suo stabilimento. A queste persone l’azienda offre formazione, attrezzature per la filtrazione, soluzioni di pagamento, servizio alla clientela basato sull’uso del cellulare, materiale promozionale ed, infine, un servizio costante di manutenzione.

Nelle zone più emarginate dell’India, l’assenza delle infrastrutture idriche rende la terra arida e la popolazione assetata, di acqua certamente, ma anche di progresso e sviluppo. Nonostante un aumento delle possibilità di accesso all’acqua potabile, di cui gode oggi l’88% della popolazione locale, solo un quarto della popolazione indiana ha l’acqua consegnata direttamente in casa. Secondo Sameer Kalwani, il Chief Technology Officer (CTO) di Sarvajal, prima dei servizi da loro offerti, le soluzioni per la provvigione d’acqua erano costose tanto quanto comprare l’acqua in bottiglia, ed in mano esclusivamente ad aziende private.

L’installazione di un stabilimento Sarvajal viene $2500, circa la metà rispetto al costo di altri modelli simili per la filtrazione d’acqua, mentre l’accesso ai servizi costa solo $3 al mese. Ad oggi sono già stati installati 150 stabilimenti che servono più di 75 000 clienti e finora hanno fornito circa 200 milioni di litri d’acqua.

In piccola parte, l’azienda, con il suo modello decentrato, contribuisce anche alla creazione di nuovi posti di lavoro nelle realtà locali. E l’effetto di questo modello si propaga come un’onda perché il governo indiano ha anche preso in considerazione le possibiltà di introdurre questi ‘bancomat’ dell’acqua anche nei quartieri più poveri delle grandi città. E malgrado la resistenza mostrata dalle aziende che fanno affari con il commercio dell’acqua in bottiglia, Sarvajal e il governo sono riusciti proprio quest’anno a creare il primo stabilimento in un quartiere povero di New Delhi.

In un paese in cui 128 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, e dove l’inquinamento delle risorse idriche causa il 21% delle malattie, Sarvajal -nominata recentemente da Fast Company una delle aziende indiane più innovative del 2013- è una vera fonte di progresso, anche in ambito sanitario. Inoltre, Sarvajal ha contribuito a difendere il concetto che l’accesso all’acqua deve essere un diritto universale, e non un lusso per pochi.

Naina Singh

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