Il progetto di Fondazione Cariplo sui distretti culturali. La cultura forse non darà da mangiare – come aveva sostenuto quando era ministro del Tesoro Giulio Tremonti – ma può essere una frontiera del social business. Anzi. In alcuni territori italiani lo è già. Si tratta dei sei distretti culturali che attraverso la presentazione di uno studio di fattibilità, finanziato fino a 70mila euro e per un massimo del 70% del costo da Fondazione Cariplo, hanno superato il bando lanciato dall’ente presieduto da Giuseppe Guzzetti.

I sei distretti culturali, che attualmente sono in fase di realizzazione, sono la Val Camonica, l’Oltrepò Mantovano, la Provincia di Cremona, la Provincia di Monza e Brianza, la Reggia dei Gonzaga e la Valtellina.

«Il progetto – spiega Alessandro Rubini, responsabile del progetto assieme a Lorenza Gazzerro – è nato come una sperimentazione volta a dare una risposta sistemica e a 360 gradi ai bisogni e ai problemi della valorizzazione del patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di abilitare la cultura a pensare lo sviluppo economico di un territorio».

Dopo aver co-finanziato gli studi di fattibilità, Fondazione Cariplo sta sostenendo i progetti dei distretti e coprirà fino al 50% dei costi, fino a 4 milioni di euro ciascuno, per un impegno finanziario compreso tra i 20 e i 21 milioni. Il resto del finanziamento è coperto dai singoli territori. Il progetto, complessivamente, è di circa 60 milioni di euro.

La mancanza di integrazione tra gli attori coinvolti è uno dei problemi principali. «Gli amministratori pubblici, gli imprenditori, i cittadini devono saper lavorare assieme. La mancanza di integrazione tra i vari stakeholder è uno dei problemi principali: occorre una governance per far dialogare questi soggetti e per non far restare la cultura da sola. C’è la necessità di una svolta sulle policy perché il tema non può essere limitato agli assessorati alla Cultura. L’approccio deve essere interdipendente». Da qui il ruolo di regista di Fondazione Cariplo, che attraverso il progetto ha messo in relazione gli stakeholder. Capofila e partner dei distretti stanno lavorando assieme.

Ecco allora che Cremona, territorio storicamente dedicato all’artigianato musicale, grazie anche alla creazione del museo del violino è riuscita a convincere il Politecnico di Milano a portare lì un distaccamento di Ingegneria acustica, mentre l’Università di Pavia ha portato Chimica dei materiali. Chimici e ingegneri hanno lavorato assieme sul violino per capire come i materiali influiscono sulla percezione sonora, facendo fare un salto di innovazione alle oltre 150 botteghe liutaie, un mestiere ma anche un marchio di fabbrica che rischia di rimanere un ricordo.

La Val Camonica si è resa conto che il problema era raccontare il proprio patrimonio culturale e ha rilanciato l’immagine delle incisioni rupestri, che poteva apparire vecchia e poco attraente. Ha creato laboratori di comunicazione, a cui hanno partecipato Ascanio Celestini, Bruno Bozzetto, Ettore Mo, Ermanno Olmi.

In Valtellina hanno impostato il distretto sulla valorizzazione dei terrazzamenti retici che ospitano le vigne, della mezza valle, dei sentieri, i dei borghi storici. L’area ha fatto un’operazione di riposizionamento strategico. Quel paesaggio culturale, prima percepito come un territorio da attraversare il più velocemente possibile per arrivare sulle poste da sci, è diventato un elemento di ricchezza, cosa importante non soltanto in termini di turismo ma anche per rafforzare il senso di identità dei residenti. «Partendo dalla valorizzazione del territorio culturale, era importante capire come la cultura potesse essere un fattore di sviluppo del territorio, cosa che in concreto è sempre stata difficile da realizzare», spiega Rubini.

I risultati e lo stato di avanzamenti dei progetti saranno illustrati nel convegno “Distretti culturali e nuove prospettive di sviluppo per i territori” che si terrà giovedì 13 giugno dalle 9 alle 17.30 presso la Triennale di Milano. Nel corso del convegno, sarà presentato il libro “Distretti culturali: dalla teoria alla pratica”, uscito alla fine di maggio con Il Mulino. Si tratta di un racconto del percorso del progetto. Un’operazione di trasparenza, che spiega i criteri di valutazione degli studi di fattibilità e dei progetti, e un’operazione di conoscenza, che mostra come questo tipo di progettualità possa essere adottato anche da altri territori.

«Il convegno sarà l’occasione per presentare il libro, ma soprattutto per dare uno sguardo in avanti e vedere quali sono, attraverso i diversi tavoli, i grossi temi che i distretti culturali stanno affrontando: per esempio come gestire l’innovazione su tutta la filiera o quali maniere nuove per raccontare i territori», dice Rubini.

Tornando al fattore della governance condivisa e multi disciplinare, non è un caso se al convegno partecipino sia il ministro della Coesione territoriale Carlo Trigilia e il ministro della Cultura Massimo Bray.

Nell’ottica del social business, non si può più pensare alla logica del mecenatismo e della sponsorizzazione, serve un rapporto più evoluto, la cultura deve offrire qualcosa in cambio. Che cosa? «La cultura può offrire visioni. Come nel caso della Valtellina, la cultura ha fatto vedere una nuova visione del territorio. Non si può chiedere alla cultura di produrre reddito. Anche se la gestione manageriale è importante, il vero ruolo della cultura per lo sviluppo economico è quello di aprire strade e offrire squarci di futuro», conclude Rubini.

Il racconto dei risultati del progetto sarà fatto anche attraverso una sorta di rendicontazione. Fondazione Cariplo svolgerà una valutazione controfattuale che a distanze di qualche anno dalla chiusura del progetto, che avverrà nel 2014-15, valuterà l’impatto in termini di nuove imprese, nuova fruizione culturale e accesso turistico.

Fausta Chiesa

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