«Da soli gli incentivi per assunzioni non sono una misura sufficiente». A greenreport.it Simona Fabiani, che partecipa per la Cgil alla neoistituita Commissione Ilo sullo sviluppo sostenibile e i lavori verdi.
A Ginevra è in corso la Conferenza internazionale del lavoro. È possibile conciliare in un unico contesto bisogni e prospettive che appaiono contrapposti, ossia quelli dei lavoratori occidentali con quelli di Paesi in via di tumultuoso sviluppo?
I bisogni e le prospettive dei lavoratori sono gli stessi in tutto il mondo. Piena occupazione, lavoro dignitoso, tutela dei diritti dei lavoratori e delle libertà sindacali, giustizia sociale, salute e sicurezza, lotta alla marginalizzazione ed alle discriminazioni, lotta alla povertà, sicurezza alimentare ed accesso all’acqua, diritto alla salute ed all’istruzione per tutti. La crisi che stiamo vivendo non è solo una crisi economica, ma anche climatica, ambientale e sociale. Questo sistema economico dominante è fallimentare e profondamente ingiusto, i cambiamenti climatici stanno portando il pianeta al collasso, le ingiustizie e la povertà estrema stanno crescendo, aumenta la disoccupazione, la precarietà, i lavori poveri, lo sfruttamento. La crisi viene fatta pagare alle classi più deboli, con i tagli allo stato sociale e l’abbattimento dei diritti per poter garantire l’economia finanziaria e i poteri forti. Serve un cambiamento profondo e una transizione giusta verso uno sviluppo sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale, serve la piena occupazione e un lavoro dignitoso per una vita degna. Serve una ripartizione più equa delle risorse naturali e della ricchezza. Non c’è contrapposizione fra i lavoratori occidentali e quelli dei paesi in via di sviluppo, hanno le stesse speranze e portano avanti le stesse lotte.
Dov’è allora il nodo del conflitto?
Ci sono interessi contrapposti fra chi promuove la finanziarizzazione dell’economia e la massimizzazione del profitto e gli interessi dei lavoratori, di intere popolazioni e comunità che subiscono gli effetti devastanti di questo sistema malato. Ad esempio le multinazionali che sfruttano le risorse naturali, per prima la terra, sottraendole alle comunità locali o le grandi imprese di energie fossili che si oppongono allo sviluppo delle energie rinnovabili e diffuse perché temono il crollo di profitti che deriverebbe da un’energia democratica e autoprodotta.
Nel suo ultimo rapporto in materia, l’Ilo afferma che puntare sulla green economy significa potenzialmente offrire un’occupazione a 60 milioni di persone da qui al 2032. Crede che sia ancora oggi una risposta concreta e soprattutto sufficiente, anche per affrontare il crescente fenomeno della disoccupazione tecnologica, con cui aumenta la convenienza a rimpiazzare il lavoro umano con un sostituto artificiale?
Assolutamente si. La transizione ad un’economia ecologica può costituire una straordinaria opportunità per creare nuovi posti di lavoro. Occorre investire in formazione perché servono professioni altamente qualificate e dobbiamo garantire ai lavoratori che perderanno il lavoro di poter essere ricollocati nei nuovi settori sostenibili mantenendo le stesse qualifiche, diritti e condizioni di lavoro.
L’altra preoccupazione per le organizzazioni dei lavoratori è quella di qualificare e tutelare tutti i lavori legati allo sviluppo sostenibile. Lavoro verde non significa automaticamente lavoro dignitoso; molti lavoratori che si occupano di settori ecologici come la forestazione e la raccolta differenziata dei rifiuti, vivono in molti paesi condizioni di estrema precarietà se non addirittura di povertà e sfruttamento.
La disoccupazione è il problema fondamentale cui far fronte anche in Italia, dove però l’ambiente è ancora in prevalenza un occasione di scontro più che di sviluppo. Eppure, quali sarebbero le opportunità occupazionali inespresse per il Paese, in termini di sviluppo sostenibile?
La contrapposizione fra lavoro ed ambiente è assolutamente pretestuosa. Esistono dati che dimostrano come l’eventuale perdita di posti di lavoro nei settori ad alto impatto ambientale potrebbe essere ampiamente compensata da una riconversione ecologica dell’economia. Le opportunità sono molteplici ed hanno il duplice effetto positivo di creare occupazione ed allo stesso tempo combattere i cambiamenti climatici e preservare l’ambiente. Basti pensare alle potenzialità occupazionale delle energie rinnovabili, la manutenzione del territorio, la cura dei corsi d’acqua e dei boschi, l’agricoltura biologica, il ciclo virtuoso dei rifiuti, la raccolta porta a porta ha una potenzialità occupazionale altissima, il riciclo delle materie. E poi c’è tutta la questione della gestione delle acque. Fra pochi giorni è l’anniversario del referendum che ha sancito la volontà popolare di ripubblicizzare la gestione dell’acqua ma questa volontà è ampiamente disattesa. Si pensi a quanti posti di lavoro si potrebbero creare con una gestione pubblica che si faccia carico, fra l’altro, della manutenzione delle reti idriche che disperdono circa il 36% della risorsa. E poi il settore dei beni e delle attività artistiche e culturali. Il nostro paese è straordinariamente ricco di cultura, arte, paesaggi, ma da anni ormai le politiche governative continuano a tagliare i finanziamenti nel settore ambientale e culturale. La pubblica amministrazione dovrebbe investire per mettere in sicurezza il territorio per prevenire frane ed alluvioni, mettere in sicurezza antisismica e realizzare interventi di efficienza energetica negli edifici pubblici. Tutto questo potrebbe creare innumerevoli nuovi posti di lavoro.
Tutti interventi che hanno un peso sui bilanci pubblici. Pensa che ci siano le risorse per concretizzarli?
C’è infatti chi potrebbe obiettare che servono finanziamenti e risorse che il nostro paese non ha. Le politiche europee di rigore non aiutano, sono depressive e devono essere contrastate, ma anche nel rispetto dei vincoli di bilancio si tratta solo di scelte politiche. Ci sono molte risorse che possono essere recuperate se si vuole davvero porre rimedio all’emergenza occupazionale: sarebbe ad esempio una scelta di buon senso, eliminare immediatamente la spesa per l’acquisto degli F35 e andrebbe ripristinata la proporzionalità delle tasse, così come previsto dalla costituzione.
Per contrastare la disoccupazione giovanile, il governo Letta prosegue nell’indirizzo delle semplificazioni normative e degli incentivi all’assunzione. Crede che un’Agenzia per l’occupazione per la creazione diretta di lavoro – sul modello offerto dal sociologo Gallino – possa essere un approccio preferibile, anche secondo i parametri Ilo?
Diffido della parola semplificazione nelle regole del mercato del lavoro, c’è già abbastanza precarietà e lavoro nero nel nostro paese. Gli incentivi possono essere uno strumento utile per momenti migliori ma, da soli, non sono una misura sufficiente per rispondere al dramma occupazionale che stiamo attraversando.
L’attuale maggioranza parlamentare, in quanto è la stessa che sosteneva il governo Monti (eccetto Sel), ha approvato la riforma del mercato del lavoro firmata Fornero, cancellato l’art. 18 dello statuto dei lavoratori, approvato la riforma Fornero che aumenta l’età per la pensione. Non sono certo misure che aiutano a contrastare la disoccupazione. Il nuovo esecutivo ha dichiarato che il lavoro è una priorità, ma ancora non ha adottato alcun provvedimento. Lo stesso ministro del Lavoro Giovannini ha dichiarato che ci sono “tante ipotesi allo studio”. Il presidente del Consiglio Letta ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di abbassare la disoccupazione giovanile al 30%. Sempre ammesso che riesca a farlo, come ci si può ritenere soddisfatti se 1 giovane su 3 rimane disoccupato?
Sono pienamente d’accordo sulla necessità, evidenziata anche da Gallino, di un intervento pubblico in economia per la creazione di nuova e sostenibile occupazione. Il parlamento dovrebbe adottare un piano straordinario per il lavoro: la Cgil ha approvato un importantissimo piano del lavoro 2013 per creare lavoro e dare futuro e sviluppo al paese, perché non partire da lì?
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