Negli ultimi anni la dimensione relazionale sta assumendo importanza crescente nella sociologia contemporanea, anche italiana. Una panoramica è presentata nel volume Relational Sociology. A new paradigm for the Social sciences (Routledge, 2011) di Pierpaolo Donati, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, e pioniere in tali ricerche. Gli studiosi hanno anche creato un network dedicato “Relational Studies in Sociology”, aperto ai contributi di coloro che sono interessati a queste tematiche, anche da prospettive diverse.

Rosalba Miceli

Al centro della prospettiva relazionale si pone la categoria del “bene relazionale”. Il concetto di “bene relazionale”, introdotto nel dibattito teorico alla metà degli anni Ottanta (1986) dal filosofo e sociologo Pierpaolo Donati e dalla filosofa Martha Nussbaum, si è sviluppato grazie al contributo di diverse discipline, prima fra tutte l’economia, grazie ad autori quali Benedetto Gui, Luigino Bruni e Stefano Zamagni, Carole Uhlaner.

Come sosteneva Donati negli anni Ottanta, la comparsa di tale categoria è strettamente connessa all’affermazione di “una sensibilità, in discontinuità con l’epoca moderna, che esprime l’esigenza di salvaguardare beni comuni che non possono essere trattati secondo la semantica dei diritti individuali o pubblico-collettivi, cioè secondo i codici simbolici moderni dell’utilitarismo e del contrattualismo nelle loro numerose varianti e mescolanze”.

Nel saggio I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono (Torino, Bollati Boringhieri, 2011), Donati e Riccardo Solci pervengono ad una maggiore definizione del “bene relazionale”, partendo dai singoli termini che lo compongono: bene e relazionale. Il termine “bene” viene considerato in una prospettiva sociologica: un bene è pertanto “una realtà che soddisfa dei bisogni propriamente umani, ed è «buona» in quanto realizza questo soddisfacimento”. Secondo tale interpretazione “il concetto di bene equivale a quello anglosassone di good quando viene riferito a una «entità concreta» che viene scambiata e circola tra le persone e i gruppi sociali”, ma che non si identifica con una merce.

Il termine “relazionale” rimanda alla relazione sociale “in quanto realtà che «fa» la società e costituisce i fatti sociali”. È solo all’interno di una prospettiva relazionale che è possibile comprendere la specificità dei beni relazionali: “Questa teoria ci consente di arrivare a definire i beni relazionali come quelle entità immateriali che consistono nelle relazioni sociali che emergono da agenti/attori riflessivamente orientati a produrre e fruire assieme di un bene che essi non potrebbero ottenere altrimenti”. In questa ottica la relazione assume una sua “materialità”, nel momento in cui diviene essa stessa “bene”.

Di particolare importanza è l’analisi del rapporto che unisce tra loro i beni relazionali e il capitale sociale (che consiste nelle relazioni di fiducia, cooperazione e reciprocità). Quest’ultimo infatti costituisce al tempo stesso una precondizione per la nascita di un bene relazionale ed è a sua volta rigenerato da questo, in un circolo virtuoso. Per intenderci, il capitale sociale “non è la risorsa che un individuo può mobilitare usando in modo strumentale la sua relazione con chi può procurargliela. Ma è la relazione stessa, se e in quanto si tratta di una relazione, che ha la potenzialità di essere sorgente di uno scambio sociale che avviene in una maniera sui generis non di tipo commerciale né politico, ma come azione finalizzata a uno scopo che opera attraverso la fiducia e norme cooperative, mobilitando le risorse accessibili”.

Dunque secondo il modello relazionale il capitale sociale si configura come un particolare bene relazionale che compare al di là dell’individuo e della collettività, fatto di relazioni costruite mediante l’interazione. In tal senso i beni relazionali escono dal campo strettamente teorico e diventano uno strumento operativo per progettare interventi nel sociale, in cui la costruzione di capitale sociale è basilare per la coesione e l’inclusione di soggetti svantaggiati e in difficoltà.

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