Da decenni le antenne dello streaming mediatico internazionale sono
sintonizzate sulle denunce sociali verso le precarie condizioni dei lavoratori
cinesi. L’ultima eco che ha generato righe d’inchiostro della stampa mondiale
risale allo scorso settembre. Uno stabilimento “della fabbrica del
sudore” nel nord dove si assemblano gli Iphone5, è stato chiuso per via di
scontri interni fra operai. Suicidi, scioperi, scontri e sfruttamento. Sono
questi gli immaginari ospitati a kilometri e kilometri di distanza ad ovest
dalla Cina. Non bastano però, giustamente o no, se l’analisi vuole oltrepassare
la dinamica accusatoria.
Cosa rappresenta oggi la Foxconn?
Dreamwork China, un
documentario molto significativo proprio su questo tema, indaga la dimensione
umana del lavoro, allunga la mano ai giovani operai in segno di conoscenza e li
interroga. Gli autori hanno viaggiato alcuni mesi visitando la città di Shenzhen
e la zona costiera del Fiume del Delta delle Perle. Hanno incontrato e parlato
con la “nuova classe operaia“ ed alcuni esponenti della società civile
impegnata nel diritto del lavoro. Dal set costruito in uno studio fotografico
vicino ad uno stabilimento Foxconn fino ai sobborghi metropolitani, questo è un
viaggio che non lascia spazio a retorica o conclusioni affrettate
Come vivono le giornate fra un turno e l’altro di lavoro? Quali sono i
sogni, quali le speranze e gli obbiettivi degli operai ventenni in Cina?
Quali le loro considerazioni? Oltre a dar voce ai lavoratori, il documentario
registra inoltre le testimonianze di alcuni attivisti di
associazioni della società civile che operano nei dintorni di Shenzhen,
offrendo la possibilità di aprire il ventaglio sulla dimensione delicata dei
diritti e del diritto del lavoro, oggi aperto solo in parte.
Ragazze che dopo il turno frequentano corsi di estetista con il sogno
d’inaugurare un centro di bellezza, chi lavora e pensa a come e quando
aprire un salone di parrucchieri o uno studio fotografico, chi invece
un’attività di qualsiasi tipo purché in proprio. Chi un pattinaggio, chi di
poter tornare a casa dopo mesi, se non anni, di mancanza. Fra le speranze
anche molte incertezze: paura di dover vivere anni inseguendo illusioni,
timore di “ammalarsi” per un lavoro estraneo ai propri interessi, perplessità
sulla possibilità di poter arricchirsi, nonostante il duro impegno.
Nella primavera del 2010 il suicidio di 15 operai dello stabilimento di
Shanghai – che contava allora circa 400 mila dipendenti – era rimbalzato di
testata in testata. Successivamente il rimpallo mediatico ha continuato a
mettere in luce le precarie condizioni, così come il presunto “risveglio” di
massa di giovani operai esasperati. Ma è sufficiente cadere nello
charme di uno – o qualche – sciopero massmediatico per alimentare
conclusioni – trimestrali per altro – che coinvolgono circa 100 milioni di
individui?
Sollecitare la rigidità di alcune posizioni, riflettere sulla complessità
dell’argomento e sulla fragilità di alcune notizie che, a ragion o torno,
solleticano nostre necessità di gratificazione morale, significa anche
ascoltare che lavorare alla Foxconn – o in una fabbrica di simili dimensioni
– per molti è una cosa positiva: il salario a fine mese è assicurato, il
cibo si differenzia per gusto e qualità, e gli straordinari vengono retribuiti.
Certezze che nelle realtà più piccole mancano e che fra le due scelte orientano
la maggior parte degli operai sulla prima.
È doveroso chiedersi – d’altro canto – qual è il livello di
consapevolezza e fin dove si può parlare di coscienza di classe all’interno
di questo spaccato di vite che sfiorano i trent’anni di età. Fra le voci, una ha
affermato che nella fabbrica del mondo “time is money”. Che “il tempo è
denaro”. Che in 48 ore è possibile recapitare al committente una qualsiasi
richiesta: 24 ore per produrre e altre 24 per logistica e spedizione. Si
intuisce la pressione, ma anche la consapevolezza che per ora – e per loro –
questa è la scelta migliore, malgrado tutto.
Consapevolezze a metà o mezze consapevolezze? Proprie di giovinezze
esclusivamente cinesi o di altre in dissimili situazioni?
Esiste una vera e propria generazione in Cina, che differisce da quella
precedente in esigenze, scelte e stile. Parlare di “risveglio improvviso” dei
lavoratori cinesi, o puntare il dito di denuncia solo sulla Foxconn senza
conoscere chi la vive, limita il giudizio e spacca la storia in due: un passato
di sfruttamento subito e un presente di sfruttamento meno tacito, finalmente –
per chi poi? - e presumibilmente rivendicato. La realtà è molto più
complessa.
La Foxconn è il salotto moderno perfetto, esempio del nostro tempo e nipote
di quello che può essere stata la Nike, la Nestlè o la Benetton in passato.
Allora come oggi però dovrebbe invitarci a sederci per analizzare la
dimensione umana e sociale in questo caso cinese, ma che come tante altre, non è
che un riflesso di quello che siamo e pensiamo.
Francesca Bottari