È accaduto silenziosamente, e quasi non ce ne siamo accorti. Eppure con la pubblicazione di giovedì del “contributo” franco-tedesco al dibattito del prossimo Consiglio europeo e con le proposte avanzate quindici giorni prima da François Hollande, l’Europa si è rimessa in moto.

Presto l’eurozona dovrebbe armonizzare le sue politiche economiche, fiscali e sociali lasciandosi alle spalle l’anomala coesistenza tra una moneta unica e diciassette politiche diverse, creando un governo comune e affermandosi come unità politica nel contesto della più vasta Unione europea. A sentire parlare l’Eliseo era tutto semplice, logico e necessario, ma in realtà stiamo assistendo a una vera rivoluzione che ha improvvisamente preso il via nel giro di poche settimane, sostanzialmente per quattro motivi.

Innanzitutto ci sono state le elezioni italiane, con l’esplosione di un partito di rottura che condanna la desta e la sinistra. Il risultato elettorale ha paralizzato un paese chiave dell’eurozona e ha evidenziato le proporzioni del divorzio tra gli europei e l’Europa, scatenando una sorta di elettroshock. A quel punto bisognava trovare al più presto il modo di ridare consistenza e vita all’Unione, prima che i suoi cittadini la seppellissero definitivamente.

Contemporaneamente la Germania ha cominciato a preoccuparsi per il deterioramento della sua immagine a livello Europeo, e Angela Merkel ha deciso di dare vita a uno sforzo comune contro la disoccupazione giovanile, un gesto che François Hollande non poteva che incoraggiare.

Poi sono arrivate le cifre sulla crescita nel primo trimestre, pessime per la Germania e catastrofiche per i suoi partner. A Berlino è immediatamente scattato l’allarme, e dato che le esportazioni tedesche non possono permettersi una recessione duratura in Europa la mobilitazione comune è diventata ancora più indispensabile. Questa convergenza di elementi ha accelerato il processo che ha visto Angela Merkel accettare di dare “la stessa credibilità” alle azioni in favore della crescita e a quelle per il ripristino degli equilibri budgetari. La cancelliera si è impegnata a realizzare l’unione bancaria senza altri ritardi e a favorire insieme alla Francia le politiche industriali ed energetiche comuni ma anche la creazione di un salario minimo in tutta l’eurozona.

Nel frattempo, prendendo due piccioni con una fava, Angela Merkel si è appropriata di alcuni temi su cui i socialdemocratici tedeschi intendevano puntare forte in vista delle legislative di settembre, e dunque euroland dovrebbe dotarsi di un potere esecutivo non più vincolato all’unanimità e di un potere legislativo formato da “strutture dedicate” all’interno del Parlamento di Strasburgo.

Sulla base della moneta unica e di politiche comuni, di un potere esecutivo e di uno legislativo, sta nascendo un’unione di tipo federale all’interno della zona di libero scambio e di diritto condiviso. Ma basterà a riconciliare gli europei e l’Europa?

A Parigi sono fiduciosi, nonostante prevedano (come a Berlino) un’avanzata delle forze eurofobe alle elezioni europee del 2014. Probabilmente hanno ragione, anche perché è ormai evidente che la sfiducia non riguarda l’Europa, ma la sua paralisi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Bernard Guetta
È un giornalista francese esperto di politica internazionale. Ha una rubrica quotidiana su Radio France Inter e collabora con Libération.

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