Yvan Sagnet, 28 anni, originario del Camerun, ha guidato la prima rivolta dei braccianti stranieri contro i boss e lo sfruttamento. Ora gira l'Italia per organizzare le lotte degli stagionali. "L'ignoranza e l'isolamento sono i nostri nemici".

di Rossella Anitori

ROMA - "Il caporalato fa leva sull'ignoranza e l'isolamento. Per combatterlo i lavoratori devono conoscere i propri diritti e prendere coscienza della propria forza". Yvan Sagnet, 28 anni, originario del Camerun, non ha smesso di lottare. Nell'estate del 2011 a Nardò, in provincia di Lecce, si è ribellato ai caporali e ha guidato il primo sciopero dei braccianti stranieri in Italia. Oggi a bordo di un vecchio furgone della Flai-Cgil percorre l'Italia in lungo e in largo per incoraggiare e sostenere gli stagionali impegnati nelle campagne di raccolta. "Ovunque vado, quando parlo di contratto nazionale del lavoro, raccolgo stupore e sorpresa: i lavoratori stranieri non conoscono i propri diritti e i caporali ne approfittano. Sono loro a dettare le regole e se vuoi lavorare sei costretto a rispettarle, devi vivere dove dicono loro, mangiare quello che vendono e pagare una tassa per arrivare nei campi a bordo dei loro furgoni".

Sono passati due anni dalla rivolta di Nardò e la condizione dei braccianti stranieri non è migliorata. Eppure a quello sciopero non sono seguite altre forme di protesta. Perché?
"Le istituzioni hanno lavorato in modo che lo sciopero e altre iniziative non potessero più ripetersi. Con la scusa della crisi, dopo la rivolta, la masseria Boncuri, il luogo in cui è scoppiata la protesta, è stata chiusa e i lavoratori che si erano ritrovati a lottare insieme per i propri diritti sono stati allontanati. I riflettori sullo sfruttamento che produce il caporalato si sono spenti e gli stagionali sono tornati a dormire sotto gli alberi e nei casolari abbandonati, hanno perso la loro forza e i caporali hanno potuto continuare ad agire nell'ombra indisturbati".

Il Ghetto di Rignano in estate conta oltre 800 persone eppure non c'è mai stato alcun episodio di protesta.

"I motivi sono essenzialmente due: nel Foggiano il caporalato è colluso con la criminalità organizzata e il Ghetto è un luogo totalmente isolato. Per fare qualsiasi cosa, per arrivare in città, andare in farmacia devi rivolgerti al caporale. Lo Stato è assente. Il caporale è vicino e controlla ogni cosa nel Ghetto. Ribellarsi è quasi impossibile".

Foggia, Trapani, Rosarno e Nardò. In queste terre di nessuno i diritti fondamentali vengono sistematicamente violati sotto lo sguardo delle istituzioni: al Ghetto di Rignano è il Comune di San Severo a portare l'acqua potabile.

"Le istituzioni non si adoperano per risolvere il problema, si muovono nella logica dell'assistenzialismo. Portano l'acqua e raccolgono i rifiuti ma non fanno nulla per evitare che i lavoratori stranieri vengano sfruttati. La verità è che i datori di lavoro oltre a gestire un pezzo dell'economia locale, riescono a condizionare la risposta dello Stato. Gli ispettori non vanno nei campi, nessuno li ha mai visti. E quando lo fanno i datori di lavoro vengono avvisati per tempo".

Il governo ha recentemente varato due provvedimenti per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori stranieri: a settembre 2011 il caporalato è diventato reato penale e da luglio 2012 i lavoratori che denunciano i propri sfruttatori possono ottenere un permesso di soggiorno temporaneo.

"Non credo che la legge sul caporalato possa risolvere il problema perché non colpisce i veri sfruttatori. I responsabili non sono i caporali ma i datori di lavoro. Oggi arresti un caporale e domani ne arriva un altro.È l'intero impianto normativo a non funzionare. La legge Bossi-Fini permette la presenza in Italia ai soli stranieri provvisti di documenti: i lavoratori irregolari hanno paura di andare a denunciare gli sfruttatori perché si esporrebbero al rischio di essere espulsi. Per di più i braccianti non conoscono i propri datori di lavoro né hanno mai firmato un contratto, i soli referenti di cui dispongono sono i caporali. E nei pochi casi in cui si rivolgono alle forze dell'ordine, anziché essere tutelati, accade che i poliziotti contattino l'imprenditore, mettendo in pericolo la sicurezza o addirittura la vita dei lavoratori".

Per risolvere questa situazione, secondo Yvan Sagnet "bisogna agire dal basso: quando a Nardò abbiamo scioperato i nostri datori di lavoro, persone che non avevamo mai visto prima, sono venute a pregarci di andare a raccogliere i pomodori che stavano marcendo sulle piante. Quel giorno ci siamo resi conto della nostra forza. Ma anche lo Stato deve fare la sua parte: uno strumento efficace potrebbe essere quello del collocamento pubblico - soppresso in Italia all'inizio degli anni 90 in seguito alle liberalizzazioni -, che renderebbe più trasparente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore agricolo, togliendo in un colpo solo gran parte dei braccianti dalle mani dei caporali".

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