#OccupyGezi. Istanbul, crocevia di civiltà millenarie, protesa sul Bosforo ed unica metropoli al mondo appartenente a due continenti, è una città emblematicamente globale e divisa per sua stessa natura. Oggi le tensioni latenti che da tempo la percorrono sono ormai divenute incontenibili, e le imponenti manifestazioni popolari esplose spontaneamente questa settimana lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio.
Le proteste, catalizzate inizialmente dalla decisione governativa di abbattere 600 alberi di Gezi Park per far spazio ad un centro commerciale, continuano a suscitare un forte moto di partecipazione popolare e una forte richiesta di protagonismo sociale da parte della società civile turca, tanto che la mobilitazione si è ormai estesa da Istanbul al resto del Paese. I violenti scontri di questa settimana si sono alternati a momenti di aggregazione, solidarietà e autorganizzazione e le piazze sono ormai presidiate da centinaia di migliaia di manifestanti, giorno e notte.
La scomparsa del Gezi Park, ultimo polmone verde della città, ha rappresentato infatti solo la scintilla iniziale di una protesta che verte su temi di fondamentale importanza per i cittadini turchi e non solo.
Centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutto il Paese per difendere la libertà di espressione ed il valore della Laicità, su cui si fondano tutte le altre libertà civili e la stessa Turchia moderna, voluta e creata da Mustafa Kemal “Ataturk”, il padre della Patria.
Al centro della contestazione vi è in realtà tanto la progressiva riduzione e chiusura degli spazi di libertà quanto l'irrimandabilee urgenza di difendere il territorio e le risorse, promuovendone una gestione sostenibile, giusta e partecipata. Le politiche propugnate dal governo rappresentato dal primo ministro RecepTayyip Erdogan, esponente del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Adalet ve Kalkinma Partisi – AKP), fazione politica islamica conservatrice dal volto talvolta opportunisticamente liberale, costituiscono una reale minaccia alla Laicità del Paese. L’autoritarismo del governo Erdogan, funzionale ad un esteso progetto di sviluppo fondato su cementificazioni, speculazioni e sfruttamento selvaggio delle risorse e delle persone, mina alla base tutto l’impianto di diritti e di libertà civili precedentemente conquistati.
Per questo le dimostrazioni di questi giorni rappresentano una battaglia ampia e su più fronti, in difesa dell’ambiente, dei beni comuni, della democrazia, della laicità e della giustizia sociale.
Nonostante la politica di oscuramento mediatico adottata dai media locali e nazionali e benché siano state fatte trapelare inizialmente notizie riduttive, fuorvianti e mendaci, la protesta continua e si allarga. Il ruolo dei social network anche in questo caso è risultato essenziale al fine di espugnare il muro di silenzio all’interno del quale si voleva circoscrivere e soffocare la contestazione. Grazie all’informazione in rete è stata denunciata la morte di tre giovani di 20, 22 e 23 anni, tragico bilancio di questa prima settimana di mobilitazioni, coma anche i numerosi e indiscriminati episodi di tortura, i migliaia di feriti e gli almeno 1700 arresti avvenuti in circa 70 città.
La violenza della polizia turca è ormai sotto gli occhi di tutti ed è rappresentativa dello sgretolamento di quella maschera liberale indossata fino all’altro ieri da Erdogan, le cui dichiarazioni formali di libertà stridono notevolmente con l’effettiva limitazione della stessa.
Nonostante la cruenta repressione istituzionale, la richiesta massiccia di libertà, di tutela dei beni comuni e di autodeterminazione sta raccogliendo consensi in ogni angolo del Paese e ben oltre i suoi confini.
In questa cruciale fase di mobilitazione e di violenta repressione della protesta sociale in Turchia, esprimiamo solidarietà e vicinanza al popolo turco, alle organizzazioni sociali, studentesche, sindacali e a tutti i comitati, le organizzazioni di base e le comunità che lottano in difesa della democrazia, della libertà, dei diritti e dei territori.